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In questo numero:

Un riciclo da evitare di Antonio Cianciullo
Quando depredare l’ambiente diventa un business di Antonio Pergolizzi
Non rinnovabile, ma eterno di Marco Gisotti
Il continente liquido di Mario Bonaccorso
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Quando depredare l’ambiente diventa un business
di Antonio Pergolizzi

In questo articolo parliamo di:

Materia Rinnovabile
Rivista internazionale sulla bioeconomia e l'economia circolare

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Il nemico giurato della circular economy è la green corruption: la sua esatta antitesi, la sua tomba. Un nemico liquido che si nutre e s’ingrassa di inefficienze burocratiche e pessime governance nella gestione delle risorse ambientali, di malaffare, di mancanza di etica e di responsabilità collettiva. Nemico ben peggiore delle lobby ancora aggrappate alle fonti fossili.

Ovunque nel mondo ma principalmente nei paesi con apparati istituzionali ed economici fragili o in via di transizione, l’uso della corruzione per depredare beni ambientali è sempre stata normale strategia di politica economica. Rimedio sbrigativo per accumulare denaro senza troppi scrupoli. Soprattutto nei paesi africani, così come in quelli asiatici e del Sud America, la corruzione è servita per rapinare biodiversità a beneficio dei ricchi mercati occidentali: disboscare, importare scorie tossiche dai paesi industrializzati in cambio di armi, come stava tentando di dimostrare la giornalista Ilaria Alpi, assassinata in Somalia il 20 marzo 1994.

Proprio a causa di questa mattanza corruttiva, la Convenzione Cites, firmata a Washington nel 1973 e a cui aderiscono 182 paesi, ha inserito nelle liste di specie a rischio di estinzione più di 13.000 specie di mammiferi e uccelli, migliaia di rettili, anfibi e pesci, milioni di specie di invertebrati e circa 250.000 di piante.
Uno dei traffici più spregevoli, e al tempo stesso remunerativi grazie alla corruzione e ai vari sistemi criminali, è diventato il commercio illegale di pelli di rettili e dei loro derivati. Pari secondo l’Onu a circa 8 miliardi di dollari all’anno, è riuscito a confondersi con i flussi regolari, portando finora a rischio di estinzione un quinto delle specie conosciute. Rispetto alla mole impressionante dei commerci, i controlli rischiano di limitarsi solo alle carte esibite, che troppe volte raccontano un mondo completamente diverso da quello reale. A livello internazionale – solo nel periodo 2008/2012 – il numero di esemplari vivi protetti movimentati è stato di circa 5 milioni, mentre sono state esportate 11,2 milioni di pelli, per un totale di 372 specie interessate (Cfs, 2015), tutte incluse nell’Appendice II della Cites. È soprattutto il mercato del lusso legato all’industria calzaturiera e dell’abbigliamento (pelli di coccodrilli e affini, pitoni e affini) ad alimentare la domanda per il mercato nero. Il compito della corruzione è di creare margini di guadagni tra i passaggi delle filiere internazionali, facendo lievitare il valore monetario dei singoli animali, dai 30 euro pagati al raccoglitore che rappresenta il primo anello della filiera fino a più di 50.000 euro per un solo capo di alta moda (Progetto Civic, 2016). Come fanno notare fonti investigative Cites, la corruzione è determinante per aggirare i controlli e aggiustare le certificazioni richieste, legittimando network criminali attivi soprattutto nei paesi di origine dei rettili in Asia, Africa e Sud America: dalle catture ai trattamenti, passando per i depositi di pelli, prima che giungano presso i laboratori artigianali europei, italiani e francesi soprattutto. L’enorme divario economico tra i paesi di origine delle pelli e quelli di vendita finale fa il resto: una bustarella intascata da un operatore addetto ai controlli nella prima fase della filiera può valere anche un anno di stipendio.

Altro settore cruciale della green corruption è la filiera del legno, soprattutto pregiato e protetto dalla Convenzione Cites. Secondo dati del Parlamento europeo (2007), il 35% del legname importato nell’Unione europea nel 2006 proveniva da risorse illegali, prevalentemente da Russia, Indonesia e Cina. Non solo: quasi l’80% del taglio delle foreste in Amazzonia è fuori legge o avviene senza permessi di taglio. Tra agosto e settembre 2014 Greenpeace ha usato nella foresta amazzonica brasiliana la tecnologia Gps per tracciare il mercato criminale legato al taglio abusivo e successiva commercializzazione del legname, dimostrando come l’industria del legno nello Stato del Parà sia in parte complice di questo mercato arrivando a fornire la documentazione utile per viaggiare all’estero.

Il taglio illegale è dunque il primo passo, segue il transito dalle segherie (spesso vere lavatrici di legnami tagliati illegalmente), il trasporto e la commercializzazione (diretta o tramite intermediari). Di solito i gruppi criminali si avvalgono di élite corrotte, pubblici funzionari e personale dei corpi di polizia messi regolarmente a busta paga, tessere indispensabili per reggere i traffici transfrontalieri. In Europa, l’area dei Balcani è tra le più esposte ai traffici illeciti di legname tramite apparati corruttivi. È da qui, dalla Balkan route, che arriva nel resto d’Europa buona parte del legno pregiato per i più disparati utilizzi. Come l’acero usato in Italia per costruire i migliori violini al mondo.

La facilità nell’aggirare i controlli, la difficoltà oggettiva nel certificare le procedure autorizzatorie dei movimenti e nell’applicare concretamente meccanismi di due diligence e di compliance, e soprattutto i notevoli benefici attesi, sono condizioni oggettive che spianano la strada alla green corruption.

… continua a leggere su Materia Rinnovabile 13, novembre-dicembre 2016