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In questo numero:

Tra vacche sacre e orti condivisi di Marco Moro
Moda, cannibali e forchette di Marco Ricchetti
Ecomafia 2017: l’anno (forse, speriamo) della svolta a cura di Diego Tavazzi
Alla scoperta della green society a cura di Diego Tavazzi
Sette passi nel futuro delle città di Paola Fraschini
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Alla scoperta della green society
Intervista Vittorio Cogliati Dezza
a cura di Diego Tavazzi

In questo articolo parliamo di:

 

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Green society: una formula per una gamma di fenomeni che si stanno delineando nel nostro paese, dal Sud al Nord, dalle città più grandi ai centri più piccoli e isolati, accumunati dalla ricerca di significati ed esperienze diversi da quelli proposti dal modello neo-liberista ancora prevalente. Il libro, curato da Vittorio Cogliati Dezza, oltre a un approfondimento teorico, racconta 101 esperienze di green society concretamente operanti. Ne esce un ritratto inedito e incoraggiante del nostro paese, che si impegna per la cura del territorio a prescindere (e spesso nonostante) dalla politica.

Il libro che hai curato si intitola “Alla scoperta della green society”. Puoi spiegarci cos’è la green society e quali sono, al momento, le caratteristiche che la connotano?
È importante la parola ‘scoperta’. Il libro è un vero viaggio di esplorazione attraverso le 101 storie che racconta. Non sono partito da una definizione preconcetta, ma ho cercato di individuare un profilo possibile e ho scoperto una grande effervescenza sociale in cui si muovono tante esperienze che, partendo da un concreto problema ambientale, si intrecciano con attività sociali, producono cambiamento, creano comunità, praticano valori condivisi, favoriscono la partecipazione civile per la gestione dei beni comuni, mettono in movimento l’economia civile. Le parole chiave sono: impegno, solidarietà, accoglienza, volontariato, condivisione, collaborazione, riqualificazione, riuso, cultura.”

Uno dei tratti essenziali della green society è il legame con il territorio, ambito in cui, come scrivi nella tua introduzione, si è spostato il conflitto sociale che prima si manifestava nei luoghi di lavoro. Questo legame, a partire dalle esperienze come quelle No Tav o quelle della Terra dei Fuochi, caratterizzate in senso oppositivo, si è fatto via via più complesso. Puoi raccontarci di questa evoluzione?
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Troppo spesso i conflitti territoriali sono stati etichettati come effetto Nimby, una forma di egoismo territoriale incapace di farsi carico dell’interesse generale. In realtà sono stati anche espressione di un nuovo bisogno di identità, di passione per la bellezza del proprio territorio. Il limite vero di questi movimenti è stato, secondo me, non tanto il localismo o il prevalere di bisogni egoistici, ma il carattere difensivo, che ha dato luogo a una sorta di sindacalismo territoriale dove la lotta per il bene comune si è limitata a contrastare gli interventi ritenuti dannosi senza produrre pratiche sociali e visioni politiche innovative. Queste spinte si sono poi quietate, ma non spente e, complice un contesto generale che sempre più spesso dava ragione alle ragioni dell’ambientalismo, hanno preso altre forme motivate dalla voglia di avere un territorio sano, bello, fruibile, in una dimensione comunitaria.”

Uno dei passaggi più interessanti che vengono raccontati è quello riassunto nella formula “è la green society che produce economia”. Ce lo puoi spiegare?
“Questa a me sembra una novità ‘rivoluzionaria’. Nella società del consumismo sono nate prima le automobili e poi gli automobilisti, prima i centri commerciali e poi le domeniche a fare shopping, prima gli aerei e poi il turismo esotico. Oggi invece è la domanda di nuovi stili di vita che crea mercato. È la voglia di riscoprire la bicicletta che ha creato i progetti di piste ciclabili e il boom dell’industria delle biciclette, è la voglia di salubrità e di identità che dà mercato al biologico e alla filiera corta, è il desiderio di liberarsi dal traffico che crea i presupposti per il car sharing. Oggi ci sono bisogni e desideri emergenti che creano mercato e producono economia, partendo da motivazioni culturali, etiche, sociali, ambientali. C’è una nuova forza in mano ai consumatori e la green society si proietta verso l’economia civile e ne consolida i presupposti.”

Donne e green society: che rapporti ci sono? E qual è il ruolo delle donne nella nuova società che si sta formando?
“La green society è molto femminile, perché si concentra molto sulla cura, rivolta in questo caso ai beni comuni, sulla creatività, perché è innovatrice, spiazzante, inventa forme nuove di essere comunità e di costruire relazioni sociali, sulla concretezza, è fatta di recupero di spazi pubblici, di qualificazione del verde, di mercatini del riuso, è finalizzata a perseguire un benessere psichico e fisico nuovo, legato non al consumo ma alla fruizione dei beni comuni. Per questo al centro del libro è un’intervista collettiva a quattro donne protagoniste, in ambiti diversi, di questi cambiamenti in atto: Rossella Muroni, nell’associazionismo, Chiara Certomà nella ricerca, Daniela Ducato nell’imprenditoria e Isabella Conti nel governo locale.”