Non ho alcun problema con le sue posizioni teoriche: il problema è il nome.
Ecco i cinque motivi.
Superare i missili. I miei amici sostenitori della decrescita mi dicono che questa parola è stata scelta intenzionalmente e in modo provocatorio come “parola missile” proprio per alimentare il dibattito. Capisco e concordo sul fatto che lo shock e la dissonanza possano essere validi strumenti per sostenere una causa.
Ma, per esperienza, ho verificato nel corso delle mie discussioni sui possibili futuri economici con un’ampia gamma di persone, che il termine “decrescita” si è rivelato essere un tipo molto particolare di missile: una bomba fumogena. Lanciatela in una conversazione e causerà una diffusa confusione ed errate supposizioni. Se stai cercando di convincere qualcuno che la sua visione di un mondo centrata sulla crescita è ben più che antiquata, è necessario argomentare con attenzione. Ma ogni volta che sbuca la parola “decrescita”, si passa il resto della conversazione a cercare di chiarire equivoci sul suo significato. Questa non è una strategia efficace a sostegno del cambiamento. Se vogliamo davvero rovesciare il dominio del pensiero economico centrato sulla crescita, semplicemente la parola “decrescita” non è all’altezza.
Definire la decrescita. Devo ammettere che non sono mai riuscita a capire veramente cosa significhi questa parola. Secondo degrowth.org, il termine indica “un ridimensionamento della produzione e dei consumi che accresca il benessere umano e migliori le condizioni ecologiche e l’equità sul pianeta”. Suona bene, ma non è abbastanza chiaro.
Stiamo parlando di decrescita del volume materiale dell’economia – le tonnellate di cose consumate – o del suo valore monetario, misurato attraverso il Pil? Questa differenza è davvero importante, ma raramente viene esplicitata.
Se intendiamo ridimensionare il throughput materiale, allora anche i sostenitori della crescita verde condividerebbero questo obiettivo, e quindi la decrescita deve specificare meglio che cosa intende per potersene distinguere.
Imparare da Lakoff: i contesti negativi non sono vincenti. Lo scienziato cognitivo George Lakoff è un’autorità per quanto riguarda la natura e il potere dei contesti, ossia delle visioni di mondo che attiviamo (di solito inconsapevolmente) attraverso le parole e le metafore che scegliamo. Come ha documentato nel corso dei decenni, difficilmente avremo la meglio in un dibattito se cerchiamo di prevalere utilizzando lo stesso contesto del nostro avversario. Il titolo del suo libro Don’t Think of an Elephant (ed. it. Non pensare all’elefante! Fusi orari, 2006), evidenzia proprio questo aspetto, perché ci porta immediatamente a pensare a un… sapete che cosa.
Come funziona questo meccanismo in politica? Prendiamo per esempio il dibattito sulle tasse. È difficile argomentare contro la “riduzione della pressione fiscale” (altrimenti detta “taglio delle tasse ai ricchi”), perché il contesto positivo della “minor pressione” suona così desiderabile: argomentare a suo sfavore significa solo rinforzare il contesto che sostiene che le tasse sono un peso. Molto più saggio è riadattare la questione in un contesto positivo, per esempio appellandosi alla “giustizia fiscale”.La decrescita cade in questa trappola? Di recente ho avuto l’occasione di porre la domanda a George Lakoff in persona, durante un webinar. Stava criticando il contesto economico dominante della “crescita”, e quindi gli ho domandato se il termine “decrescita” potesse costituire un’utile alternativa. “Per nulla” è stata la sua risposta immediata, “Innanzitutto è come ‘non pensare a un elefante!’, ossia ‘non pensare alla crescita!’. Usandolo attiviamo la nozione di crescita. Quando si nega qualcosa se ne rafforza il concetto”.
… continua a leggere su Materia Rinnovabile 10 maggio-giugno 2017