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In questo numero:

Un tuffo nella circolarità di Antonio Cianciullo
Un tesoro in fondo al mare di Mario Bonaccorso
Sono dodici, ma cresceranno di Marco Moro
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Sono dodici, ma cresceranno
di Marco Moro

In questo articolo parliamo di:

Materia Rinnovabile
Rivista internazionale sulla bioeconomia e l'economia circolare

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Il vertice dei ministri dell’ambiente dei Paesi del G7 – ospitato dall’Italia, a Bologna nello scorso mese di giugno – ha fornito l’occasione per fare un punto non rituale sui molti dei temi che dovrebbero essere in primo piano nell’”agenda ambientale” dei governi. Tra i problemi di cui si è discusso nei numerosi side event che hanno animato le giornate bolognesi, quello dell’inquinamento provocato dalla dispersione di rifiuti in plastica si presenta con caratteri di gravità estrema. Il plastic littering è un fenomeno di cui Materia Rinnovabile si è ripetutamente occupata, in particolare in relazione alla situazione di diverse nazioni africane. 

La dimensione del fenomeno, emerso in questi ultimi anni grazie anche all’evidenza mediatica che ha avuto la “scoperta” dei trash vortex oceanici, era già denunciata nel documento fondativo della Stop Plastic Waste Coalition (vedi box), con un dato di cui è difficile anche riuscire a visualizzare il significato: 5 milioni di miliardi di particelle e frammenti di plastica che galleggiano sulla superficie degli oceani. 

L’iniziativa, promossa a Bologna congiuntamente dal ministero dell’Ambiente italiano, dal ministére de la Transition Ècologique et Solidaire francese con il sostegno di Novamont, ha costituito un momento di confronto per la coalizione, focalizzandosi sull’acquisizione di maggiori elementi di conoscenza e sulle strategie per ridurre l’origine principale del fenomeno: la dispersione a terra di rifiuti plastici.

A Baptiste Legay, vicedirettore della Direzione Generale per la Prevenzione dei Rischi, è stato affidato il compito di aprire i lavori illustrando le azioni intraprese dal governo francese che ha identificato il marine litter come una delle priorità chiave nel proprio piano di prevenzione dei rifiuti 2014-2020.

Punti di forza di tali azioni sono il bando alla distribuzione in cassa di shopper in plastica monouso adottato nel 2016, seguito il 1° gennaio 2017 da analogo bando esteso ad altri tipi di sacchi monouso di spessore inferiore a 50 micron, che potranno essere solo in plastica biodegradabile e compostabile. La rilevanza economica, oltre che ambientale, di tali innovazioni normative è stata confermata durante il convegno da Sphere Group, un importante operatore francese nel campo degli imballaggi per alimenti. Ed entro il 2020 toccherà a posate, piatti e bicchieri in plastica seguire la stessa sorte. Misure ritenute “chiave” per il grande impatto che hanno in termini di crescita della consapevolezza nei consumatori, come del resto si è verificato in Italia che su questo percorso ha fatto da apripista. Nella legge sulla protezione della biodiversità emanata nel 2016 sono contenute altre due misure che vanno in questo senso: il bando ai prodotti cosmetici che contengono microplastiche (entro il 2018) e ai bastoncini cotonati per la pulizia (tipo “cotton fioc” per intenderci, entro il 2020). Ma la strategia non si ferma qui e punta alla realizzazione di un sistema volontario di gestione dei rifiuti in plastica derivanti dalle attività di pesca (reti, innanzitutto), al dialogo con le industrie del settore plastico per azzerare la dispersione di granuli durante il processo di produzione, alla promozione di uno studio sulla tossicità dei filtri di sigarette e sulla potenzialità per la realizzazione di un sistema di gestione dedicato. A livello internazionale l’azione del governo francese si svolge nel contesto della coalizione e punta tra l’altro a mettere a punto una “toolbox” di esperienze e strumenti per i decision maker e lo sviluppo di un programma di aiuto ai paesi che intendono intraprendere volontariamente la strada della riduzione dell’inquinamento da plastiche.

Anche il Cile, rappresentato dal ministro dell’Ambiente Marcelo Mena Carrasco, ha adottato – non senza difficoltà – una politica di progressiva messa al bando degli shopper e delle borse in plastica.

Sottolineando quindi come il problema che abbiamo di fronte nel configurare politiche di contrasto alla dispersione di rifiuti in plastica sulla terraferma – e quindi nelle acque – non sia affatto di ordine tecnologico, Catia Bastioli, amministratore delegato di Novamont, ha evidenziato il ruolo delle enormi carenze nella gestione dei rifiuti. Infatti – secondo i dati elaborati da Ellen MacArthur Foundation riferiti al settore del packaging – solo il 2% della plastica raccolta per essere riciclata, che a sua volta è solo un esiguo 14% dei 78 milioni di tonnellate prodotte annualmente – entra effettivamente in processi di riciclo che non implicano un downcycling della materia. Secondo Bastioli è necessario un approccio olistico alla gestione dei rifiuti che ci permetta di individuare in essi tutte le possibili fonti di future risorse. Lo sviluppo delle plastiche biodegradabili e compostabili, materie progettate per essere riciclabili, è un passo in questo senso, che consente per esempio la migliore valorizzazione della frazione organica dei rifiuti, oltre ad offrire una soluzione efficace per la sostituzione delle plastic bag monouso. Una soluzione, in definitiva, utile per la conservazione di una componente fondamentale del capitale naturale, come la qualità dei suoli e per ridurre l’impatto del plastic litter sugli ecosistemi marini. Ma la chimica verde di Novamont è in grado di proporre soluzioni anche in relazione ad altre fonti di inquinamento dei suoli e delle acque, ponendo sul mercato alternative biobased, totalmente biodegradabili, per lubrificanti ed erbicidi.

Sul Mediterraneo come laboratorio per sperimentare strategie “dal basso” di prevenzione e riduzione del marine litter si è soffermata Rossella Muroni, presidente di Legambiente, la maggiore Ong ambientalista italiana. Il capillare lavoro di rilevazione dei dati e caratterizzazione dei rifiuti realizzato su oltre 100 spiagge in collaborazione con le Ong degli altri paesi rivieraschi ha permesso di raggiungere risultati su due piani: migliore conoscenza di cosa viene disperso nell’ambiente e della sua provenienza; acquisizione di maggiore consapevolezza sul tema a livello di collettività, attraverso l’ampio coinvolgimento dei volontari nel lavoro di raccolta e analisi dei rifiuti. In una mappa accessibile online sono disponibili i risultati delle indagini svolte da Legambiente e dalla rete Clean up the Med sin dal 2014.

E ancora dati, impressionanti, sono stati forniti da Francois Galgani, docente presso Ifremer (Istituto francese di ricerca marina), come le 25.000 tonnellate di plastica che ogni giorno entrano in mari e oceani. Dove si trovano le plastiche? Pressoché ovunque, dal Mediterraneo all’Antartide, e diffuse tra i fondali marini, in superficie, sulle spiagge, nei ghiacci, nel biota, nei sedimenti, in atmosfera. E sono ben 700 le specie animali marine che vengono colpite da questo flusso colossale di rifiuti nelle acque, il 30% del quale è costituito da sacchetti in plastica, con il risultato che in determinate aree il 100% della popolazione di tartarughe marine ha ingerito plastiche, non riuscendo a distinguere i sacchetti dalle meduse di cui si alimentano. 

… continua a leggere su Materia Rinnovabile 17 luglio-agosto 2017