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In questo numero:

Green economy fai-da-te di Marco Moro
L’Italia della green economy di Paola Fraschini
I confini (planetari) della terza crisi di Diego Tavazzi
Il nuovo mercato delle e-bike di Michele Bernelli
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I confini (planetari) della terza crisi
di Diego Tavazzi

In questo articolo parliamo di:
La terza crisi
Come sconfiggere la crisi e difendere il futuro di imprese e famiglie

di Danilo Bonato
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Anche se nelle ultime settimane il senso di urgenza che aveva caratterizzato il finire dell’anno scorso si è un po’ allentato, le prospettive sul medio e sul lungo termine per l’economia e le nostre società appaiono ancora fosche: a oggi, stiamo ancora pagando gli effetti della crisi finanziaria che si è scatenata il 15 settembre del 2008 quando, a causa dei debiti eccessivi, la Lehman & Brothers dovette chiudere.
Da allora, quella che sembrava una crisi limitata al settore della finanza è tracimata investendo l’economia reale. Secondo la maggioranza degli interpreti, le radici della crisi sono da ricercare nell’eccessiva finanziarizzazione dei sistemi economici e nella deregolamentazione che si è accompagnata a questo fenomeno. Parrebbe quindi che con più regole, più controlli e con più investimenti nella crescita tutto possa risolversi. In realtà, potrebbe essere che la lettura non sia completa e che quindi le soluzioni proposte si rivelino non sufficienti.
È quanto sostiene Danilo Bonato nel suo libro La terza crisi, che inquadra il momento attuale nell’ambito della crisi ecologica, quella che, appunto, dà il titolo al volume. Per comprendere confini e portata della terza crisi, è necessario ricordare che le nostre società dipendono dagli ecosistemi che le supportano e dai servizi che questi forniscono. Anche se parrebbe un’ovvietà, troppo spesso l’economia è stata pensata come un sistema a sé stante, che attinge risorse da un pianeta infinito, le lavora per trasformarle in beni e servizi e poi scarica rifiuti e inquinanti in un deposito anch’esso infinito.
In realtà, Bonato rileva come le attività umane abbiano già modificato così pesantemente le caratteristiche fondamentali che definiscono il pianeta su cui abitiamo (Bill McKibben parla di una nuova Terraa), al punto che l’uomo può essere considerato al pari delle grandi forze che nel corso delle grandi ere geologiche hanno modellato le caratteristiche del pianeta. Siamo dunque nell’Antropocene e Bonato, oltre a sottolineare l’urgenza di affrontare la questione demografica, si muove lungo la linea delineata dagli autori del rapporto Planetary boundaries: exploring the safe operating space for humanity, pubblicato su Nature nel settembre del 2009.
I 29 coautori del rapporto, tra cui diversi premi Nobel, propongono un approccio alla questione della sostenibilità basato sull’individuazione dei “confini” all’interno dei quali è ragionevole pensare che l’umanità possa operare in maniera sicura. Sono nove le aree considerate: cambiamento climatico, acidificazione degli oceani, distruzione dell’ozono stratosferico, aerosol, flussi biogeochimici del fosforo e dell’azoto, uso globale dell’acqua potabile, cambiamenti della destinazione d’uso dei suoli, perdita della biodiversità e inquinamento chimico. Fatta eccezione per gli aerosol e per l’inquinamento chimico, gli autori definiscono per ogni area una soglia oltre la quale diventa pericoloso spingersi.
A oggi, sono tre i settori in cui è stata superata la soglia di allerta: cambiamento climatico (la soglia è, come sostiene anche James Hansen in Tempeste, 350 ppm di CO2, oggi abbiamo già superato le 393 ppm), ciclo dell’azoto e perdita della biodiversità. Gli effetti derivanti dal superamento delle soglie si amplificano reciprocamente e rischiano di innescare cascate di conseguenze negative. Tanto per fare un esempio tra i numerosi possibili: se i ritmi della deforestazione non vengono rallentati, si libera più carbonio nell’atmosfera, il che amplifica la velocità del cambiamento climatico e dell’acidificazione degli oceani. Questi elementi impattano tra l’altro sulla produzione alimentare e sulle riserve ittiche, e possono condurre a uno sfruttamento ancora più aggressivo dei suoli e degli stock ittici, con danni ulteriori alla biodiversità e alla salute dei suoli (sul tema del degrado dei suoli si può leggere quanto scrive Lester Brown nel suo ultimo libro, Un mondo al bivio).
Le soluzioni proposte da Bonato sono all’insegna della razionalità e della fiducia nella capacità degli esseri umani di innovare e di ragionare al di là dei confini spaziali e temporali più ristretti. Servono quindi investimenti nell’efficienza degli usi dell’energia e dei processi, ed è poi necessario ripensare il sistema economico per basarlo sulla biomimesi (come proposto da Gunther Pauli nel suo Blue Economy). E serve anche, e forse soprattutto, un cambiamento culturale: come afferma Albert Einstein nell’esergo al libro di Bonato, “non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose”: in altre parole, non è più possibile pensare a se stessi prescindendo dalla relazione che ciascuno di noi ha con le generazioni future e con gli altri abitanti del pianeta azzurro.