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Acqua virtuale: lo spreco nello spreco di Paola Fraschini
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Acqua virtuale: lo spreco nello spreco
Intervista ad Andrea Segrè
di Paola Fraschini

In questo articolo parliamo di:
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Una bistecca da 3 etti equivale a 4.650 litri di acqua, una tazzina di caffè a 140 litri. A tavola non contano solo le calorie: senza rendercene conto quando mangiamo ci “scoliamo” anche tutta l’acqua che è servita a coltivare e ad allevare i prodotti che finiscono nel nostro piatto. E quando buttiamo via il cibo, buttiamo anche l'acqua che contiene. Un vero spreco nello spreco.
"La favola a lieto fine che ci avevano insegnato a scuola, con l'acqua che arriva al mare, poi sale sotto forma di nuvoletta e torna a scendere con la pioggia in un ciclo infinito che permette a tutti di bere, non è più vera", spiega Andrea Segrè, preside della facoltà di Agraria a Bologna, fondatore di Last Minute Market e curatore insieme a Luca Falasconi de Il libro blu dello spreco in Italia: l’acqua.  Stiamo utilizzando più acqua di quella disponibile senza attingere alle riserve e, soprattutto, ne utilizziamo una quantità spropositata per produrre alimenti che poi buttiamo via al momento della raccolta, della distribuzione o del consumo: in Italia ogni anno si spreca una quantità di cibo che basterebbe a sfamare, nello stesso periodo, tre quarti della popolazione italiana.
A tutto ciò si aggiunga che il nostro paese vanta il primo posto in Europa (e il terzo nel mondo, dopo Arabia Saudita e Messico) per il consumo di acqua in bottiglia… e pensare che dai nostri rubinetti sgorga un’acqua pubblica, sicura, di eccellente qualità e per giunta gratuita! Parliamone con il professor Segrè.

     

Vogliamo aprire con una buona notizia: l'Obiettivo di Sviluppo del Millennio 7, che prevede di dimezzare la percentuale di persone senza accesso all’acqua potabile, è stato raggiunto in anticipo rispetto alla scadenza, stabilita per il 2015. Lo affermano l’Unicef e l’Organizzazione mondiale della sanità nel rapporto Progress on Drinking Water and Sanitation 2012, vuole fare un breve commento?
Sicuramente questa è una meravigliosa notizia, ma non per smorzare l’enfasi dell’accaduto e tantomeno per vestire i panni del bastian contrario, vorrei porre l’accento sul fatto che sempre più nelle varie parti del mondo si sta raggiungendo quello che abbiamo definito il limite di sostenibilità (cioè l’uguaglianza tra la velocità con cui l’uomo utilizza l’acqua rispetto alla capacità che il sistema ha di rimetterla in circolo) e che in alcuni paesi tale limite è già stato superato da qualche anno, creando non pochi problemi dal punto di vista ambientale e di perequazione sociale. Ciò infatti porterà da qui al 2025 a uno scenario piuttosto critico. In molte zone del mondo la disponibilità di acqua pro capite subirà delle drastiche riduzioni. Per esempio in Africa si passerà dai 16.000 metri cubi del 1960 a meno di 4.000 del 2025, nel Medio Oriente dai 4.000 metri cubi del 1960 ai 2.000 del 2025 e in fine in Asia dai circa 6.000 metri cubi del 1960 ai 2.000 del 2025. 

Il rapporto del World Business Council for Sustainable Development stima che una percentuale compresa tra il 15 e il 35% degli attuali utilizzi di acqua per l’irrigazione nei prossimi anni non saranno più sostenibili. Il problema di fondo dell’aumento generale dei consumi è aggravato da una problematica specifica: in un mondo sempre più globalizzato, con l’aumento dei consumi si registrerà una crescita degli scambi internazionali. Ne risentiranno soprattutto i paesi in via di sviluppo. Le merci, infatti, si dirigono prevalentemente da questi paesi verso quelli cosiddetti sviluppati. Per soddisfare questa richiesta di merci i paesi in via di sviluppo stanno “spremendo” le loro risorse idriche superando il limite di sostenibilità. Inoltre in molti paesi emergenti o in transizione economica si sta raggiungendo un miglioramento degli standard di vita e un avvicinamento al modello dei consumi “occidentale”. Questo porterà a un aumento dei consumi dei beni cosiddetti “di lusso” come, per esempio, automobili e veicoli in generale. All’aumento dei consumi generato dalla crescita della popolazione mondiale va quindi a sommarsi la volontà dei paesi in via di sviluppo, ovvero proprio quelli che registreranno la maggiore crescita di popolazione, di raggiungere i livelli di consumo pari a quelli occidentali; generazioni future più numerose e con maggiore capacità di spesa. Inoltre è ormai noto come l’incremento del reddito medio pro capite determini un aumento della spesa in valore assoluto per i consumi alimentari e una loro diversificazione in termini di tipologia di alimenti consumati e di quantità di servizi contenuti al loro interno. La tendenza è quella dell’aumento dell’apporto calorico giornaliero attraverso un maggiore consumo di cibi “tradizionali” (cereali e prodotti amidacei, per esempio) e l’introduzione nella dieta di alimenti di origine animale come la carne, la cui produzione comporta un ingente utilizzo di acqua: solo in Cina i consumi sono raddoppiati rispetto ai primi anni ’90 e subiranno un ulteriore raddoppiamento entro il 2030.

Tutto questo quindi mi fa notevolmente smorzare l’entusiasmo per l’obiettivo appena raggiunto. Infatti se si continuerà su questa strada ben presto potremmo andare incontro a una drastica inversione di tendenza e potremmo ritrovarci in scenari ben peggiori di quelli che si registravano quando si sono fissati gli obiettivi del millennio.

   

Spreco d’acqua: quanto, come e perché.

Ciò che abbiamo cercato di fare con Il libro blu dello spreco in Italia: l’acqua è stato di dare una nuova chiave di lettura allo spreco di acqua legando questo fenomeno a quello dello spreco di cibo. Tale tipo di lettura risulta complementare a quelle tradizionali, che indagano il fenomeno dello spreco di acqua a livello agricolo, o industriale, o domestico, andando quindi a ingrossare, è proprio il caso di dire, la portata del fenomeno.

Per poter comprendere appieno il significato di quello che definiremo come lo spreco di acqua nello spreco di cibo è necessario spiegare tre concetti fondamentali: ciò che intendiamo per spreco alimentare, e nello specifico quello relativo ai prodotti agricoli; ciò che consideriamo lo spreco di acqua legato a tale fenomeno; e ciò che lega questi due fenomeni, cioè il concetto di "acqua virtuale".

In merito al primo concetto, cioè lo spreco alimentare, intendiamo l’insieme di tutti quei prodotti perfettamente utilizzabili, ma che per le ragioni più diverse, non sono più vendibili e che, in assenza di un possibile uso alternativo, sono destinati a essere eliminati e smaltiti. I prodotti alimentari che formano lo spreco perdono le caratteristiche di “merce”, ma non quelle di “alimento”, quindi sono prodotti invenduti e non invendibili. In base a quanto appena definito e andando ad analizzare l’intera catena agroalimentare è possibile evidenziare come in ogni anello della stessa (produzione primaria, prima e seconda trasformazione, distribuzione all’ingrosso e al dettaglio, consumo) si vengano a materializzare produzioni alimentari sprecate.

Più complesso invece risulta inquadrare il concetto di spreco di acqua legato allo spreco di cibo. A rigor di logica nel momento in cui si matura in campo un prodotto significa che tutte le risorse utilizzate per l’allevamento di quella coltura erbacea o arborea hanno raggiunto l’obiettivo per le quali erano state impiegate, cioè la produzione di un bene pronto per essere raccolto. In questo caso, a prescindere che il prodotto venga utilizzato per l’alimentazione umana, o per quella animale, o per la produzione di biocarburanti o così via, quelle risorse, e quindi l’acqua utilizzata durante tutto il ciclo produttivo, hanno raggiunto il loro scopo. Proseguendo però nel ragionamento e riprendendo quanto detto sopra in materia di sprechi alimentari, nel momento in cui si produce un bene alimentare il cui fine è quello dell’alimentazione umana, ma che per varie ragioni viene lasciato a marcire in campo per cui si viene a perdere lo scopo per il quale era stato realizzato, anche tutte le risorse che sono state impiegate per la sua produzione perdono il loro obiettivo che era quello più ampio di dare origine non solo a un bene maturo ma a un bene che venisse impiegato per l’alimentazione umana.

Infine dobbiamo definire il concetto ponte tra spreco di acqua e spreco di cibo, cioè quello di acqua virtuale. C’è un’acqua invisibile che consumiamo ogni giorno in quantità ingenti. È l’acqua virtuale cioè quelle quantità d’acqua che sono state utilizzate direttamente e indirettamente durante tutto il processo produttivo per fabbricare un bene, anche alimentare (è possibile dividerla in tre tipologie: verde, blu, grigia a seconda della provenienza).

Inquadrato brevemente il contesto di riferimento ora possiamo parlare di quello che è accaduto nelle campagne italiane nel 2010 sia in termini di sprechi alimentari nei campi sia in termini di sprechi d’acqua legati a questi ultimi.

Nel 2010 nelle campagne italiane sono rimasti in campo un totale di circa 15 milioni di quintali di prodotti agricoli pari al 3,2% della produzione italiana. Sono rimasti a marcire in campo poco più di 12,85 milioni di quintali di frutta e verdura e poco più di 2 milioni di quintali di cereali.

Lasciare in campo 15 milioni di quintali di prodotti agricoli significa aver impiegato delle risorse, in primis acqua, che hanno portato alla produzione di un bene che non raggiungerà mai il mercato e che rimarrà a marcire in campo. In pratica, in altre parole, abbiamo utilizzato risorse naturali, spesso limitate, per produrre rifiuti. Tali risorse quindi, possiamo affermare, avremmo potuto impiegarle in usi alternativi o avremmo potuto evitare di prelevarle e preservarle per le generazioni future.

Tornando all’acqua virtuale ciò significa che nel 2010 poco più di 1,2 miliardi di metri cubi di acqua virtuale sono stati sprecati (che potremmo stimare pari all’acqua contenuta nel bacino del Lago d’Iseo). Di questi per esempio, 13.851.139 metri cubi di acqua sono stati utilizzati per la produzione di 307.887 quintali di pesche (escluso le nettarine) rimaste in campo a marcire, oppure 58.499.890 metri cubi di acqua sono stati utilizzati per la produzione di 1.560.992 quintali di arance, oppure 89.803.337 metri cubi di acqua sono stati utilizzati per la produzione di 1.348.515 quintali di uva che hanno subito la stessa sorte. Quindi proprio uno spreco nello spreco. Per concludere, nel 2010 oltre 200 milioni di metri cubi di acqua blu e grigia sono stati sprecati, pari al 16,7% dell’ammontare totale dello spreco, un quantitativo di acqua che avrebbe soddisfatto, secondo i consumi domestici stimati per gli italiani e pari a 68 metri cubi pro capite, le esigenze di 2.944.212 persone per un anno intero, il 5% della popolazione italiana.

   

Come contenere lo spreco idrico?

Oltre a seguire tutti i decaloghi che ci spiegano come ridurre gli impieghi di acqua in tutte le attività domestiche quotidiane, da quelle legate all’igiene personale (per esempio fare la doccia invece del bagno, fa risparmiare ogni volta fino a 100 litri ecc.) a quelle legate all’alimentazione (per esempio la dieta mediterranea, apprezzata ed equilibrata, richiede un consumo d'acqua di 1.715 metri cubi/anno, inferiore ad altre come quella anglosassone che consuma 2.607 metri cubi/anno), un metodo senza ombra di dubbio efficace è quello della riduzione dello spreco di cibo, e quanto detto prima ce ne ha dato la portata.

   

Ci vuole dare un consiglio sulla “data di scadenza” degli alimenti, davvero il giorno dopo è da buttare?

In merito alle date di scadenza è bene fare una premessa fondamentale. Da quanto la legge ha fissato tali limiti e ha implementato un efficace sistema di controllo prima e di autocontrollo ora, il numero di intossicazioni alimentari è drasticamente crollato. Per cui è necessario affermare che i benefici creati dall’adozione di tali provvedimenti sono senza ombra di dubbio impagabili!

Premesso ciò, però, è altrettanto doveroso dire che è fondamentale che il consumatore si informi, anche e soprattutto in materia di alimentazione visto e considerato che è una delle poche, per non dire l’unica vera azione dalla quale non possiamo prescindere per vivere. Mi spiegherò meglio. Sfido molti consumatori a spiegarmi qual è la differenza tra una “data di scadenza” e una “preferenza di consumo”. Sono certo che molti di loro considerano queste due date uguali. In realtà così non è. Infatti le differenze sono profonde. Quando parliamo di “date di scadenza” parliamo di limiti di vita e quindi di consumo che vengono riportati su alcune categorie di prodotti quali latte (la cui vita è di 7 giorni) o carne (la cui vita è di 5 giorni) stabiliti dalla legge. Superato quel limite non solo il prodotto non può essere più venduto ma non dovrebbe neanche essere consumato in quanto la possibilità di andare in contro a intossicazioni alimentari non è così remota.

Discorso diverso invece è per la cosiddetta “preferenza di consumo” la cui presenza è prevista per legge, ma la cui ampiezza in termini di giorni di durabilità del prodotto è stabilita dal produttore. Nel senso che, è colui che produce biscotti, yogurt, pasta ecc. che stabilisce qual è il lasso di tempo nel quale il prodotto confezionato mantiene le caratteristiche nutrizionali e organolettiche che aveva al momento della sua produzione. Quindi ciò significa che nel momento in cui si supera la data della “preferenza di consumo” riportata nei biscotti questi non crocchieranno più come appena fatti ma saranno meno fragranti, lo yogurt non conterrà più il numero originale di lattobacilli ma ne avrà una quantità inferiore. Tutto ciò però non sta assolutamente a significare che il prodotto non è più consumabile perché tossico, ma semplicemente che ha perso parte delle caratteristiche nutrizionali e organolettiche che aveva al momento del confezionamento. Quindi un prodotto che ha superato la “preferenza di consumo” è ancora perfettamente consumabile e quindi dovrebbe essere consumato.

Spero che ora il significato di “data di scadenza” e “preferenza di consumo” siano più chiare e che questo possa portare qualche consumatore a utilizzare i prodotti alimentari in modo più consapevole.