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Il futuro che vogliamo è già passato di Marco Moro
Si allunga la strada dell’ecomafia di Diego Tavazzi
Acqua virtuale: lo spreco nello spreco di Paola Fraschini
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Si allunga la strada dell’ecomafia
Intervista ad Antonio Pergolizzi
di Diego Tavazzi

In questo articolo parliamo di:
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Nel 2011 sono state individuate 346.000 tonnellate di rifiuti gestiti in maniera illegale. Per trasportarle servirebbero quasi 14.000 tir. Messi in fila, questi camion andrebbero da Reggio Calabria a Saint Moritz. L’anno scorso la colonna si fermava a Milano, segno che, nonostante la crisi, le ecomafie nazionali sono floride come non mai. Abbiamo chiesto ad Antonio Pergolizzi, coordinatore dell’Osservatorio nazionale ambiente e legalità, curatore del rapporto Ecomafia 2012, di spiegarci cosa è cambiato rispetto all’anno scorso.

Scrive Vittorio Cogliati Dezza nella presentazione al volume: “Una volta era il piccolo favore, il piccolo vantaggio personale nel quotidiano, sul proprio territorio. Oggi è un fattore strutturale che caratterizza il funzionamento del sistema paese. [...] Oggi i vizi privati e le relazioni pubbliche formano un tutt’uno indistinto, si confondono e si rafforzano reciprocamente in un’unica ‘zona grigia’. Il cui lievito è la corruzione...” Le inchieste più recenti in effetti si concentrano su questa zona grigia: è il segnale che le ecomafie hanno cambiato modi e strategie? E se sì, come?   
La corruzione è un ingrediente che accompagna l’Italia sin dal suo costituirsi come stato. Sono cambiate – e cambiano di continuo – le modalità, i contesti, ma la sostanza è sempre la stessa. Sin dalle prime inchieste sui traffici di rifiuti compaiono i famosi colletti bianchi, i politici, i professionisti. Soggetti che creano sistemi criminali in grado di piegare le funzioni pubbliche a interessi privati, in un’ordalia di miserabili vicende umane che in ogni rapporto facciamo fatica a sintetizzare. E questo senza parlare del ciclo illegale del cemento, dove la zona grigia è sempre stata il vero motore con cui dare la stura alla lunga serie di sacchi edilizi, alla cementificazione selvaggia... Certo, dopo anni di denunce – grazie anche alle 19 edizioni del nostro rapporto Ecomafia – di inchieste, oggi l’ecomafia, e in genere la criminalità ambientale, si muove con più circospezione, con azioni più sofisticate e più articolate; si muove tra banche e società finanziarie, come ogni struttura criminale che si rispetti. E quando può, prova a farsi cambiare le regole del gioco: leggi, regolamenti, autorizzazioni, piani urbanistici tipici e atipici e così via, così da muoversi senza tema di finire nelle maglie della giustizia.

Rispetto a quanto presentato nell’edizione 2011, cosa è cambiato? Quali sono le differenze, e quali le linee di continuità?
Continuità è il termine più appropriato. Non si registrano grandi mutamenti, semmai il consolidamento di circuiti criminali. Uno di questi è sicuramente l’estero, dove la globalizzazione dei mercati si presta benissimo alle strategie ecocriminali. Stando solo ai dati, invece, si registra un calo della pressione criminale, che può essere letto in due modi: il primo, dopo i colpi assestati dalle forze dell’ordine, una parte dell’illegalità è rientrata nei circuiti legali; il secondo, il rallentamento dei controlli e delle attività repressive, colpa anche della crisi economica in atto e delle scarse risorse messe in campo.

Puoi spiegare l’iniziativa di Legambiente “Abbatti l’abuso”, volta a contrastare il dilagare dell’abusivismo edilizio?
L’idea è semplice, ma niente affatto scontata: l’unico modo per dimostrare l’autorità della legge e delle istituzioni è quello di dare seguito alle sentenza passate in giudicato di demolizioni di immobili (o parti di questi) costruiti in maniera illegale. Chiediamo che la legge venga rispettata, non lasciata al suo destino. Purtroppo in Italia chi costruisce abusivamente è certo che non si vedrà mai abbattere l’immobile, tra ricorsi e temporeggiamenti degli enti locali; abbattere, purtroppo non fa guadagnare voti ai sindaci, questo è il punto. Quindi, con questa campagna proviamo a dare un riconoscimento simbolico a quei sindaci che hanno demolito immobili abusivi, nella speranza che vengano presto emulati da altri colleghi.

Traffici illeciti di rifiuti: peculiarità del meridione o vizio nazionale?
Vizio nazionale, senza dubbio. L’idea che i traffici di monnezza riguardino solo il Sud è servita alle altre regioni per fare finta di niente, e dare libero sfogo ai trafficanti. Se si leggono i dati, infatti, appare chiaro che non c’è alcuna differenza, sono semmai più frequenti i casi di traffici organizzati gestiti da imprenditori del Nord, dove è più alta la mole dei rifiuti prodotti, soprattutto speciali (in generale, l’80% di quelli prodotti ogni anno).

Si è molto parlato, spesso in maniera superficiale e strumentale, delle infiltrazioni delle mafie nel settore delle energie rinnovabili. Com’è la situazione?
Le mafie si muovono in ogni settore dove è c’è la possibilità di acculare profitti. Le mafie, oggi, sono fortissime in ogni angolo del paese, potendo contare su vaste alleanze che consentono loro non solo di riciclare facilmente il denaro accumulato con attività criminali ma di agire da veri soggetti economici e politici. Contribuiscono a costruire infrastrutture pubbliche, a determinare scelte politico-amministrative, a decidere della vita o della morte di interi settori produttivi. Sfruttando i loro consolidati contatti con l’area grigia e con le amministrazioni locali si sono gettate anche nel settore delle rinnovabili. Con una peculiarità rispetto ad altri settori: qui sono state scoperte subito, e immediatamente bloccate. Va da sé che le lobby del carbone e delle fonti fossili hanno provato in ogni modo a strumentalizzare le inchieste provando a gettare discredito su uno dei pochi settori in attivo nel nostro paese.   

Avete registrato dei cambiamenti nelle dinamiche internazionali delle ecomafie?
È sullo scacchiere internazionale che si muovono i più importanti traffici illeciti di rifiuti. Se in passato si trattava solo di scorie da smaltire lontano dall’Italia, oggi si trafficano principalmente materiali postconsumo, particolarmente importanti per le economie produttive di ogni paese. Materie prime, quindi, che rappresentano uno dei pilastri della green economy, che è quella del riciclo; settore che vale, solo considerando le principali materie, qualcosa come 90 miliardi di dollari l’anno. Ecco che mentre le aziende nostrane di riciclo soccombono sotto i colpi dei trafficanti (con i magazzini a corto di rifiuti da trattare e riciclare), questi si stanno arricchendo spostando carichi di monnezza dall’altra parte del mondo. 

Cibo e supermercati: quello che mangiamo e i luoghi in cui andiamo a fare la spesa sono sicuri?
I grandi centri commerciali sono il luogo ideale per le mafie per "chiudere il cerchio": per riciclare denaro sporco con i cantieri e con le casse; creare consenso sociale gestendo il mercato del lavoro; imponendo prodotti alimentari e le ditte che si occupano di logistica. Costruire un centro commerciale serve a tutto questo, fino a incidere sullo sviluppo urbanistico di città e nuovi quartieri. Sono il loro tempio pagano, in cui fanno quadrare i conti e agiscono come soggetti economici rispettabili.
Il cibo, si diceva. Le mafie nascono in un mondo agricolo e da lì prendono il largo. Il rapporto con le campagne non si è mai allentato, dalla gestione diretta alle fasi dell’intermediazione. Ancora oggi gestiscono soprattutto la distribuzione dei prodotti agricoli, imponendo passaggi e trasporti che servono solo a far aumentare i costi e a far lavorare le loro ditte di trasporto. L’esempio più attuale è il condizionamento di alcuni mercati ortofrutticoli, non solo al Sud. Altra questione sono le truffe alimentari, che interessano i più svariati tipi di prodotti e sono il portato di interessi criminali non solo mafiosi. Il più delle volte si tratta di semplici imprenditori, professionisti della truffa che attentano direttamente alla salute dei consumatori e fanno concorrenza sleale alle tante aziende sane del made in Italy

Nel ventennale delle stragi mafiose di Capaci e di via D’Amelio, compare un capitolo dedicato alle vittime dell’ecomafia, a ricordare che gli ecocriminali, oltre a devastare i territori e la salute di intere collettività, spesso uccidono.
Quest’anno, oltre a dedicare l’intero volume alle vittime innocenti delle stragi del 1992 di Capaci e via D’Amelio a Palermo, abbiamo voluto anche rendere omaggio ad alcune vittime di ecomafia. Non le intere comunità che ogni giorno sopportano i torti dell’attacco criminale alla salubrità e alla bellezza dei territorio (impresa impossibile da fare), ma uomini e donne che – come ricordiamo nel capitolo a essi dedicato – nella loro veste di “cittadini, sacerdoti, rappresentanti delle forze dell’ordine che quotidianamente nella pratica della normalità alzavano la voce contro i soprusi e le violenze alla bellezza del territorio e della natura. Tutti uccisi per mano dell’ecomafia in una guerra invisibile e silenziosa”. In questa edizione abbiamo scelto faticosamente, per ovvie esigenze di sintesi, 26 nomi, solo una piccolissima parte, che con le loro storie e il loro esempio vogliono rappresentare tutte le vittime. In un paese che ha la memoria corta, il nostro è un semplice gesto per ricordarli, il nostro umile modo per ringraziarli.