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In questo numero:

Occhi che non vedono di Marco Moro
Parole per il futuro di Paola Fraschini
Non è facile, ma è l’unica cosa possibile: dobbiamo reinventare il fuoco di Diego Tavazzi
Risanamento ambientale per l’Ilva di Taranto? di Anna Satolli
Clima, ambiente e alimentazione a SANA 2012 a cura della redazione
A qualcuno piace caldo? Volano i prezzi del cibo di Anna Satolli
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Non è facile, ma è l’unica cosa possibile: dobbiamo reinventare il fuoco
di Diego Tavazzi

In questo articolo parliamo di:
Reinventare il fuoco
Soluzioni vincenti per il business della nuova era energetica
di Amory B. Lovins
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In un intervento pubblicato sul suo sito il 27 agosto, George Monbiot (autore nel 2009 di Apocalisse quotidiana) dà voce allo sconcerto che in molti hanno provato osservando i dati sul ghiaccio marino dell’Artico: “Non è possibile fare confronti. Non è come una guerra, un’epidemia o una crisi economica. Non siamo equipaggiati, per ragioni storiche e psicologiche, per affrontare quello che sta succedendo, e questa è una delle ragioni per cui così tanti si rifiutano di ammettere che stia succedendo [...] Il senso quotidiano di perdita – del mondo che conosciamo e amiamo – non può essere espresso facilmente”.
In effetti, qualunque sia l’indicatore preso in considerazione (estensione dei ghiacci, volume o area) la stagione estiva del 2012 ha demolito tutti i precedenti record, e ha clamorosamente smentito l’Ipcc, che nel IV rapporto del 2007 affermava che “secondo alcune proiezioni il ghiaccio marino estivo sparirà quasi completamente entro l’ultima parte del XXI secolo”. Se ancora ce ne fosse bisogno, il quasi collasso del ghiaccio marino dell’Artico (per una rassegna delle possibili conseguenze connesse a questo fenomeno si veda il link) dimostra che il cambiamento climatico indotto dalle attività umane è qui, adesso.
È quindi sempre più urgente individuare percorsi alternativi a quello denominato come business as usual, incentrato sui combustibili fossili. Una delle proposte più credibili è quella presentata da Amory Lovins in Reinventare il fuoco. Il volume (e il progetto che ha ispirato il testo) sono la summa di oltre 30 di lavoro sui temi dell’efficienza energetica e della riduzione degli sprechi e offre spunti e indicazioni validi per qualunque paese industriale avanzato. Lovins inizia la sua analisi elencando i principali svantaggi dei combustibili fossili: oltre ai danni ambientali (che a parte il riscaldamento globale comprendono anche svariate forme di inquinamento), la dipendenza delle nostre economie da petrolio, carbone e gas le espone alla volatilità dei prezzi e alle tensioni geopolitiche (ultime in ordine di tempo, come preconizzato da Michael T. Klare in Potenze emergenti, quelle nel Mar cinese meridionale relative a rotte e giacimenti di gas). Infine, pagare per acquistare i combustibili fossili equivale a trasferire ricchezza verso nazioni che non sempre sono animate dalle migliori intenzioni nei confronti delle nazioni occidentali. Il quadro è chiaro, è evidente che occorre “invertire la rotta della superpetroliera”. E qui Lovins mette sul piatto una serie impressionante di indicazioni per quattro settori fondamentali dell’economia: trasporti, edilizia, industria e reti di trasmissioni dell’energia. Il filo comune è la riduzione degli sprechi, da incentivare attraverso la ridefinizione degli scenari normativi e da ottenere grazie a quella che lo studioso americano definisce “progettazione integrata”.
Reinventare il fuoco applicato al settore automotive chiarisce questo concetto: invece di pensare alle singole componenti del veicolo per poi integrarle, meglio sarebbe pensarle tutte assieme sempre tenendo a mente l’obiettivo di ridurre i consumi. Ecco allora che l’utilizzo di materiali leggeri consentirebbe di avere le stesse prestazioni con motori di cilindrata inferiore, il che permetterebbe di avere organi di trasmissione più piccoli e meno pesanti, e meno peso significa ancora minore necessità di propulsori sovradimensionati e così via, in una serie crescente di guadagni a cascata. Questi stessi concetti possono essere adattati al settore degli edifici (e qui Lovins ripetutamente sottolinea l’enormità della sfida di trasformare il patrimonio edilizio statunitense, composto da più di 130 milioni di edifici variabili per tipologia e dimensioni) e all’industria. Questo è un ambito che, per via del suo comprensibile conservatorismo, consente margini di miglioramento assai ampi: perché, solo per fare due esempi, molte condutture per i fluidi assomigliano a labirinti intricati quando sarebbe possibile avere tubazioni quasi diritte e con curve poco angolate? E ancora: perché non ispirare i progetti all’efficienza della natura, che non spreca niente e che riutilizza tutto (in linea con quanto raccontato da Gunter Pauli nel suo libro Blue Economy). Per l’ultimo tassello di Reinventare il fuoco, le reti per la distribuzione dell’energia, Lovins propone una soluzione radicale: abbandonare il più rapidamente possibile il modello attuale, verticistico e gerarchico, per arrivare a un sistema pulviscolare incentrato su micro reti di dimensioni ridotte e autosufficienti dal punto di vista della generazione dell’energia. Le tecnologie informatiche ci sono già, e anche se è vero che quella del trasporto dell’energia è una delle più grandi infrastrutture costruite dall’uomo, e quindi difficile e lenta da modificare, è altrettanto vero che quello di Lovins è uno scenario affidabile e sicuro (si pensi solo alla vulnerabilità delle reti attuale a black out o attacchi informatici ai sistemi di gestione centralizzati).
Lovins ha ben chiare le difficoltà, l’inerzia del sistema attuale e quanto il conglomerato degli interessi che lo sostengono e che da esso dipendono siano colossali, ma rimane comunque ottimista sulla capacità degli esseri umani di usare al meglio la loro intelligenza. Viste le condizioni in cui versano le nostre economie, e gli ecosistemi che le sostengono, sarebbe il caso di affrettarsi davvero a reinventare il fuoco.