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In questo numero:

Un cetaceo nel frigorifero di Marco Moro
Green Jobs 2.0, di più e meglio di Diego Tavazzi
Tocca agli imprenditori darsi da fare di Paola Fraschini
Ricerca, sviluppo e competitività di Carlo Pesso
La democrazia inizia dal piatto a cura della redazione
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La democrazia inizia dal piatto
Intervista a Vandana Shiva tratta da “Eating Planet”
a cura della redazione

In questo articolo parliamo di:
Eating Planet
Nutrirsi oggi: una sfida per l'uomo e per il pianeta
di Barilla Center for Food & Nutrition
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Un miliardo di persone che soffre la fame, due miliardi di persone ammalate, il pianeta stesso ammalato (l’acqua che sta scomparendo così come la biodiversità, il danno climatico, il suolo che perde fertilità): tutti questi fattori sono collegati tra di loro nell’ambito di un modello agricolo che trascura la nutrizione del suolo e quella delle persone, e mette al centro i profitti derivanti dallo sfruttamento delle risorse. Tutto ciò significa che i piccoli agricoltori non riescono a sfamarsi perché rientrano nel gruppo dei nuovi espropriati. Oppure se riescono a coltivare, sono indebitati e vendono ciò che coltivano, tant’e che del miliardo di persone affamate, 500 milioni sono produttori di cibo. È un sistema che dimentica che il cibo deve essere funzionale alla nutrizione, finisce per produrre non-cibo, che diventa cibo spazzatura, il quale, a sua volta, causa diversi tipi di patologie. È lo stesso sistema che sfrutta l’acqua perché non ne deve sostenere i costi, causa l’estinzione delle specie e immette nell’atmosfera il 40% dei gas serra che provocano i cambiamenti climatici. Quindi i profitti distruggono il cibo, la Terra, i nostri agricoltori e la nostra salute. I profitti sono diventati un’ossessione.

Con queste premesse, che approccio dovrebbero adottare i paesi in via di sviluppo nei confronti dell’agricoltura per evitare che la situazione peggiori?

Ritengo che i cosiddetti paesi in via di sviluppo siano definiti tali in quanto non sono stati industrializzati durante la prima rivoluzione industriale. E la maggior parte della popolazione nei nostri paesi, anche in Cina e India, è costituita da piccoli agricoltori. In Africa per certo, e cosi pure in America Latina.

Dobbiamo considerare i nostri piccoli agricoltori come il nostro capitale sociale, perché le piccole aziende agricole sono quelle che producono di più. Se ci mettiamo a imitare l’agricoltura industriale su larga scala delle multinazionali occidentali, non solo distruggeremo i nostri agricoltori, ma comprometteremo anche la nostra sicurezza alimentare. Poiché i paesi in via di sviluppo si ritrovano a essere nella parte del mondo con maggiore biodiversità, la seconda cosa che dobbiamo fare e riconoscere che il patrimonio naturale della biodiversità e un vero e proprio capitale. Non i prestiti finanziari dalle banche che in futuro finiranno per prendersi la terra. Non le tecnologie che, come l’ingegneria genetica, si stanno già rivelando un fallimento. Dobbiamo portare rispetto nei confronti della terra, dei nostri agricoltori cosi come della più antica e collaudata conoscenza in ambito agricolo. È proprio questo il concetto che viene messo in evidenza dal rapporto IAASTD che ha evidenziato che né la Rivoluzione verde, né l’ingegneria genetica rappresentano soluzioni per l’accesso al cibo. È con l’agricoltura ecologica, spesso associata a sistemi di conoscenza indigeni e frutto degli stessi, che è possibile aumentare la produzione preservando al contempo le risorse.

Ritiene che le donne rivestano un ruolo specifico in questo processo?

Le donne rivestono un ruolo specifico per due motivi. Innanzitutto, se si pensa alla lunga storia dell’agricoltura che sfamava la gente senza renderla obesa e senza causare epidemie di diabete, si tratta della storia di un sistema agricolo e alimentare nel quale le donne avevano un ruolo centrale ed erano le depositarie della conoscenza. Quindi è alle donne che dobbiamo chiedere cosa fare per avere un’alimentazione sana e corretta. È per questo che presso l’associazione Navdanya abbiamo attivato la Grandmothers’ University (l’Università delle nonne), per imparare nuovamente come rispettare il cibo. Il secondo aspetto è che il sistema agricolo che sta creando tutti questi problemi – un miliardo di affamati, due miliardi di obesi – è un sistema che affonda le sue radici nella guerra. È proprio nato dalla guerra. Le sostanze agrochimiche sono il frutto della guerra. Questo sistema nasce da quella che io chiamo la “mentalità patriarca” che vede l’uomo come il dominatore, come conquistatore violento della Terra e delle persone. Questo modello è diventato troppo pesante per il sistema alimentare. Abbiamo bisogno della non-violenza, della diversità e della multifunzionalità che le donne possono conferire all’agricoltura.

Una volta ha affermato che chi si impadronisce del nostro sistema alimentare si impadronisce anche della nostra democrazia. Che cosa intende? Ce lo può spiegare meglio?

Da un certo punto di vista si tratta di quanto affermato da Henry Kissinger a proposito del cibo come arma. Disse che se si ha il controllo delle armi, si ha anche il controllo dei governi e degli eserciti. Quando si ha il controllo del cibo si ha il controllo delle persone. Nel contesto attuale, il cibo è controllato attraverso il controllo delle sementi. Monsanto si è rivelato l’unico e il più grande player sul fronte delle sementi. E tristemente il governo statunitense, che si è impoverito tremendamente esternalizzando tutta la produzione, adesso raccoglie royalty su sementi brevettate, deprivando gli agricoltori del Terzo mondo della democrazia, della possibilità di utilizzare i propri semi, deprivando la gente in tutto il mondo del diritto di scegliere quale cibo coltivare e di sapere cosa c’è dentro al cibo. Oggi democrazia alimentare significa disporre della sovranità e della liberta delle sementi. Quindi bisogna dire “no” ai brevetti sulle sementi e “sì” alla possibilità di coltivare il proprio cibo, il che significa difendere i piccoli agricoltori e fermare il sistema perverso dei sussidi che con importi pari a 400 miliardi di dollari forniscono all’agricoltura industriale un vantaggio iniquo e la fanno prosperare. E, in terzo luogo, ciò significa essere molto più consapevoli del cibo che si mangia e di come è stato coltivato. Riassumendo: la democrazia inizia dal piatto.

Vandana Shiva, fondatrice di Navdanya, un movimento per la conservazione delle biodiversità e per i diritti degli agricoltori. È fondatrice e direttrice della Research Foundation for Science, Technology and Natural Resource Policy la cui missione è quella di risolvere i più rilevanti problemi sociali ed economici in collaborazione con le comunità locali e i movimenti sociali. È stata inoltre consigliere per il governo indiano e per governi stranieri, per ONG come l’International Forum on Globalisation, Women’s Environment and Development Organization e Third World Network.