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In questo numero:

Un cetaceo nel frigorifero di Marco Moro
Green Jobs 2.0, di più e meglio di Diego Tavazzi
Tocca agli imprenditori darsi da fare di Paola Fraschini
Ricerca, sviluppo e competitività di Carlo Pesso
La democrazia inizia dal piatto a cura della redazione
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Green Jobs 2.0, di più e meglio
Intervista a Marco Gisotti
di Diego Tavazzi

In questo articolo parliamo di:
Guida ai green jobs
Come l'ambiente sta cambiando il mondo del lavoro
di Tessa Gelisio, Marco Gisotti
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A tre anni dalla prima (e più volte ristampata) edizione, Tessa Gelisio e Marco Gisotti ritornano sul tema delle professioni verdi. Non c’è comparto produttivo che non sia stato investito dalla rivoluzione della green economy: la riduzione degli sprechi e la sostenibilità ambientale e sociale dei processi produttivi sono infatti considerati gli elementi chiave della strategia per superare la crisi, come dimostrato anche dal numero crescente di cittadini e clienti che si orientano verso aziende e prodotti verdi. Abbiamo chiesto a Marco Gisotti di illustrare le novità di Guida ai green jobs 2012 rispetto all'edizione del 2009.

La Guida ai green jobs è arrivata alla seconda edizione: quali sono le principali differenze con quella uscita tre anni fa?
Innanzitutto che la crisi nel nostro paese si è fatta più pesante e la disoccupazione ha toccato livelli record. Allo stesso tempo, però, abbiamo assistito a qualcosa di più di un “manipolo” di imprenditori illuminati che hanno investito in innovazione e in tecnologie, e che hanno individuato nella sostenibilità ambientale gli strumenti per acquisire resilienza alla crisi. Ovviamente queste imprese hanno creato e stanno creando occupazione verde che oggi, tre anni dopo la prima edizione della Guida, vediamo più chiaramente nelle competenze, nel percorso di studi e nella capacità da parte del mercato di assorbire le diverse figure professionali. Tre anni, oggi, valgono come dieci per cui direi che era necessario non solo aggiornarla ma scriverla da capo, come è stato fatto.

Quali sono i green jobs più promettenti in termini di prospettive occupazionali?
Ovviamente nelle rinnovabili c’è ancora molto spazio, nonostante il grande caos generato dalla questione degli incentivi che, come mi capita spesso di spiegare, non sono stati una droga per il mercato ma delle vitamine che, con l’ingresso nell’età adulta, serviranno sempre meno. Una figura che spicca è quella dell’energy manager, necessario oggi in ogni settore perché ha la capacità di migliorare tutta la filiera produttiva e consentire a un’impresa di ottenere risparmi vitali per il suo futuro.
Così come la chimica verde è affamata di talenti che però scarseggiano: mancano infatti i laureati in queste materie.
O, per fare un altro esempio, il turismo, settore che non conosce crisi e che oggi, se è “eco”, i viaggiatori lo preferiscono.

Nel volume insistete parecchio sulle soft skills: perché le competenze in area relazionale sono così importanti nel nuovo mondo del lavoro?
In effetti sono importanti tanto quanto quelle tecnico-specialistiche, però è vero: oggi un giovane che abbia competenze da spendere in maniera trasversale diventa un soggetto più interessante per il mercato del lavoro, purché queste competenze siano sempre orientate verso l’ambiente.

Quali sono i percorsi formativi che meglio preparano a lavorare nella nuova economia verde?
Direi le università scientifiche, i corsi di specializzazioni e i master e, poco noti, gli Its, ovvero gli Istituti tecnici superiori che possono essere una valida alternativa all’università e che offrono come titolo di studio una specializzazione, in genere biennale, immediatamente spendibile sul mercato del lavoro. Purtroppo gli Its sono solo 59 in tutta Italia.

Rispetto al 2009, sembra di percepire un raffreddamento negli entusiasmi per la green economy. È così? E che impressioni avete ricavato girando per l’Italia e intervistando i protagonisti del settore? La green economy e i green jobs sono davvero considerati la via per uscire dalla crisi e dare nuova forma alle nostre economie?
In Italia c’è un raffreddamento per tutto quello che non sappia di scandalo, di malversazione o di crimine. Un po’ come nel giornalismo, dove se non si risponde alla regola delle tre “s” (soldi, sesso e sangue) non c’è notizia. Parlare di green economy significa parlare invece delle cose che funzionano e, in questo caso, è considerato meno appassionante. Però, se sfogliamo le pagine dei quotidiani e dei periodici economici o le pagine di economia delle altre testate, scopriamo che il “green” è presente sempre e in maniera sempre crescente.
Girando l’Italia, poi, si conosce una realtà tutta diversa da quella della televisione, più simile agli ultimi dieci minuti della Gabanelli (quelli dedicati alle buone notizie in "Report" in onda su RAI3), fatta di gente onesta e creativa, di imprenditori pronti a mettersi in gioco per il futuro e per creare occupazione e per i quali l’ambiente e la responsabilità stanno diventando le nuove parole d’ordine.
Non so dire se ci sia coscienza da parte loro di star fondando la green economy: alcuni certamente sì, altri lo fanno perché questa è la cosa giusta da fare per reagire alla crisi. Certo c’è una convergenza delle forze migliori in questa direzione. Che in molti chiamiamo green economy.