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Ecomafia: navi a perdere di Paola Fraschini
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Ecomafia: navi a perdere
Intervista ad Antonio Pergolizzi
di Paola Fraschini

In questo articolo parliamo di:

Navi a perdere
di Carlo Lucarelli

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Era il 13 dicembre 1995 quando il capitano Natale De Grazia morì improvvisamente nei pressi di Salerno, dopo aver pranzato in una stazione di servizio sulla A3. Sarebbe dovuto arrivare a La Spezia per compiere alcuni accertamenti in merito a indagini sui traffici illegali di rifiuti tossici e radioattivi. Avrebbe dovuto raccogliere deposizioni e documenti sugli affondamenti sospetti nel Mediterraneo, specie di fronte alle coste calabresi. Stava indagando sulle cosiddette “navi a perdere”.
La morte del capitano De Grazia non ha mai convinto nessuno. Oggi però ci sono anche gli elementi concreti per chiedere la riapertura del caso: Natale De Grazia non è morto per cause naturali, fu con ogni probabilità avvelenato. Parliamone con Antonio Pergolizzi, coordinatore nazionale Osservatorio Ecomafie di Legambiente.

Legambiente lanciò per prima l'allarme sulle navi dei veleni all'inizio degli anni '90 e pochi giorni fa ha organizzato a Reggio Calabria un incontro per dire che il "Caso De Grazia", non è chiuso. Vuoi ripercorrere brevemente la vicenda?
Era il lontano 1994 quando per la prima volta Legambiente denunciava alle autorità competenti l’esistenza di un vero e proprio intrigo internazionale basato su un imponente traffico internazionale di rifiuti tossici e radioattivi. Con rotte che dal nord Italia ed Europa si dirigevano verso il sud Italia, soprattutto in Calabria, per essere definitivamente smaltiti o nelle montagne (soprattutto aspromontane) o al largo delle coste insieme alle vecchie carrette che li trasportavano. Bisogna pure ricordare che quello era il periodo in cui si stava uscendo dagli scandali internazionali legati al sistematico ricorso al dumping ambientale nei paesi del Sud del mondo, cioè quei luoghi lontani dove l’Italia – in buona compagnia con gli altri paesi industrializzati – aveva scaricato milioni di tonnellate di veleni a cielo aperto, nell’assenza generale di leggi nazionali e internazionali che ne vietassero la pratica. Noncuranti dei disastri ambientali che si stavano generando, anche per le generazioni future. Una delle peggiori forme distruttive di colonialismo. Nel 1992, dopo gli scandali e le pressioni dell’opinione pubblica, entra in vigore la Convenzione di Basilea, e chi fino a quel giorno ha potuto scaricare impunemente è costretto a trovare una alternativa. La soluzione preferita diventa quella di lasciare affondare le stesse navi con i loro carichi velenosi. Con doppio profitto: si truffano le compagnie assicuratrici e si prendono i soldi degli smaltimenti illegali. Le mafie, soprattutto quelle italiane diventano soggetti fondamentali per il loro controllo del territorio. Sta di fatto che in quegli stessi anni centinaia sono i natanti che si inabissano, senza un apparente motivo, col mare piatto e con strani carichi. La Dia, tra il 1995 e il 2001, ne ha censiti 630 affondati nei mari del mondo, 52 nel Mediterraneo.
Agli investigatori mossi da quel primo esposto di Legambiente appare subito evidente che gli interessi in gioco sono tanti e che le complicità si snodano ai più vari livelli. La procura di Reggio Calabria è la prima a tentare di scoprire il network per fermarlo. Natale De Grazia era la punta di diamante del pool di investigatori messi in campo dalla magistratura inquirente, coordinata da Francesco Neri. Le indagini stavano procedendo bene, i risultati non mancavano, e De Grazia stava arrivando alla verità passando al setaccio ben 27 affondamenti sospetti. Morì in circostanze mai chiarite proprio durante una delle missioni chiave per l’intera indagine. Le due autopsie, eseguite dallo stesso medico, non hanno mai convinto né la famiglia né chi in questi anni ha seguito da vicino l’intera vicenda chiedendo di sapere la verità, fino in fondo. In ballo la salute del mare e di milioni di persone, calabresi per primi. Sta di fatto che con la morte di De Grazia le indagini subirono un colpo mortale, tanto che ancora oggi le ombre prevalgono sulle luci. I muri di gomma diventarono insormontabili, insieme all’asfissiante senso di isolamento di chi ha continuato in questi anni a chiedere la verità. Il sospetto che il povero De Grazia fosse stato ucciso per coprire i responsabili di quell’immane disastro si è avuto sin da subito, soprattutto da parte di chi aveva lavorato fino al giorno prima con De Grazia, gomito a gomito con lui, ammettendo che l’intero pool subì al tempo minacce e pedinamenti di ogni genere; lo ammise poco prima di morire, per esempio, uno dei magistrati in prima linea su quel fronte, Nicola Maria Pace.    

Dopo 18 anni di dubbi, la Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti rassegna una relazione nella quale si afferma con certezza che il capitano De Grazia non è morto di causa naturale, come stabilito da due perizie mediche fatte immediatamente dopo il decesso, ma si è trattato di una morte dovuta a una sorta di intossicamento. Veleno insomma. Vuoi fare un commento?
La recente perizia del dottor Arcudi sulla morte di De Grazia resa pubblica dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti attualmente in carica fuga ogni dubbio, configurando il peggiore degli scenari possibili: Natale De Grazia fu con ogni probabilità avvelenato, ucciso da sostanza tossica, perché entrato in un gioco più grande di lui. Cosa ancora più inquietante è che la stessa perizia smentisce le due vecchie perizie, definendole inattendibili. Da chi è stato ucciso? Questo dovrebbero dircelo i giudici, per il momento assistiamo, addirittura, all’ennesima richiesta di archiviazione sulla morte di De Grazia chiesta dal procuratore della repubblica di Nocera Inferiore, arrivata – ironia della sorte? – poco prima del deposito della Relazione della Commissione e della notizia sulla nuova perizia. Richiesta contro la quale facciamo appello al Gip perché si opponga dando una nuova opportunità alla ricerca della verità.   

Pare che addirittura centri il Kgb, i servizi segreti sovietici. Vuoi/Puoi dirci qualcosa di più sulla motonave Latvia?
Sulla motonave Latvya sappiamo cosa hanno scritto i commissari, cioè che era legata al Kgb, ormeggiati negli stessi giorni della morte di De Grazia al porto di La Spezia, che si sospetta sia stata caricata di mercurio rosso radioattivo, e che era uno dei motivi per i quali De Grazia stava andando a La Spezia, perdendo la vita durante il tragitto: purtroppo non ha fatto in tempo a fare delle verifiche, a seguito di informazioni riservate sul conto dell’imbarcazione ricevute da un suo informatore. Di certo c’è che La Spezia era all’epoca uno dei nodi strategici di quei flussi e che i servizi segreti, di diversi paesi, hanno giocato nelle vicende delle “navi a perdere” un ruolo determinante, tanto che lo ha ammesso lo stesso presidente della Commissione di inchiesta sui rifiuti, Gaetano Pecorella. Di più non siamo in grado di dire, anche se la sostanza non cambia: con la sua morte il pool è stato smembrato e le possibilità di scoprire la verità azzerate, speriamo non per sempre.    

Quale ruolo può giocare Legambiente in situazioni al punto intricate internazionalmente?
Cosa possiamo fare? Sicuramente essere un pungolo per le istituzioni, troppo spesso dormienti, tenere alta la guardia, rappresentare le istanze di verità e giustizia della società civile, chiedere a ognuno di fare la sua parte. E non ci stancheremo mai di farlo.