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In questo numero:

Cosa c’è dentro al green di Marco Moro
Calunniate, calunniate, qualche cosa resterà a cura della redazione
Riesci a pensare a 25 milioni di anni? a cura di Diego Tavazzi
Parola di libraio di Edoardo Caizzi
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Cosa c’è dentro al green
di Marco Moro


Se diciamo green economy qual è la prima immagine che vi viene in mente? Di certo non vi può venire in mente il volto di un politico italiano.

Il prossimo 20 giugno, in un’iniziativa che Edizioni Ambiente ha ideato in la collaborazione con Fondazione Sviluppo Sostenibile, proveremo perciò a far emergere anche l’immaginario, oltre alle aspettative e alle necessità, che la politica locale e nazionale esprime rispetto a questo tema. Ma non lo faremo con “la politica” in generale. L’incontro dibattito è infatti rivolto a parlamentari e amministratori locali under 35, ossia i giovanissimi della politica, data la scarsissima “mobilità intergenerazionale” che affligge il paese anche e forse soprattutto in questo campo.

Parlando con chi fa politica da poco potrebbe (anzi, dovrebbe, dato il ruolo) risultare più facile anche enucleare quella cosa che, parlando con politici più navigati, con chi “fa” l’economia e pure con chi “la fa verde”, emerge invece con difficoltà: il complesso di valori e i principi che devono ispirare la ridefinizione del significato stesso dell’economia e del suo rapporto con la società e con il pianeta.

Quali sono infatti i pilastri concettuali della green economy: minori consumi? Maggiore efficienza? Minore prelievo di risorse non rinnovabili? Minore impatto sull’ambiente e sulla salute? È tutto?

Ma questi in fondo non sono obiettivi di puro buonsenso, che lo stesso modello economico attuale, messo alle strette, potrebbe adottare (come in parte sta facendo) senza per questo ripensare il proprio significato, i propri valori?

In qualsiasi campo delle attività economiche è possibile, lo sappiamo, agire con fini estremamente diversi. Si può quindi speculare tanto sulle commodities quanto, per esempio, sulle energie rinnovabili. Si può operare perfino nei settori più green dell’economia, specie se “tirano” o godono di buoni incentivi, anche per riciclare i proventi di attività criminali. Come sottolinea Carlo Lucarelli nella prefazione al rapporto Ecomafia 2013 di Legambiente c’è uno schema di pensiero imperante che non connette un ambito all’altro: “Economia, ambiente, crimine: problemi diversi, da affrontarsi in tempi e modi diversi. A unificare tutto, però, ci hanno pensato le mafie”. E non c’è dubbio che queste realtà operino sulla base di principi, molto chiari.

 

Riformulare il rapporto tra economia, società e ambiente operando sul solo oggetto del proprio business non è quindi sufficiente. Che senso avrebbero pagine e pagine di Rapporti di Responsabilità sociale d’impresa se questa impostasse la propria attività su una chiara enunciazione di valori la cui promozione si pone come obiettivo della propria attività? A cosa servirebbe il rapporto annuale sulla responsabilità sociale o quello di sostenibilità con cui si racconta cosa si è fatto per fare “meno peggio” di quanto si è fatto fino a oggi, oscurando la vera e unica bottom line a cui si guarda?

A chi interverrà il 20 giugno si potrà però raccontare che il diverso rapporto tra economia, società e ambiente di cui sopra – quello di cui la green economy dovrebbe essere interprete – si può mettere in pratica. Che esempi concreti di come si connettono valori e attività economiche esistono, anche in Italia, e si tratta di esempi di valore internazionale. Come quelli che si stanno sviluppando nel settore delle bioplastiche. E non è affatto casuale che, qualche giorno fa, a incontrare gli stakeholder coinvolti dalla riconversione del sito chimico di Porto Torres secondo l’innovativo concetto della “bioraffineria locale” vi fosse Gunter Pauli. In quello che è già un “classico del futuro”, e cioè Blue Economy, Pauli sposta decisamente l’attenzione verso i valori che l’attività imprenditoriale deve porre a proprio fondamento e verso gli obiettivi che si vogliono realizzare.

 

Tutto questo nel dibattito sulla green economy è stato parecchio trascurato, sempre grazie a un approccio che vede ogni ambito problematico come un compartimento stagno: il lavoro, le tecnologie, il profitto, la qualità dell’ambiente, l’equità e l’innovazione sociale sono tutti campi separati dove intervengono soggetti diversi e dove si opera con metodi differenti.

È solo “riconnettendo”, quindi, che si può evitare di ridurre il dibattito a una visione difensiva e perfino regressiva.

Quello che Lucarelli afferma a proposito della lotta alle mafie ha un valore molto più ampio: “Alla fine riusciremo a capirlo. A capire che lotta alla mafia significa difesa dell’ambiente, della salute, dell’economia e viceversa”. Il business as usual dell’economia che ha prodotto le molteplici crisi in atto, tra cui un verticale aumento delle ineguaglianze, si contrasta solo comprendendo come alla base vi sia un pensiero che divide, che divide i risultati di bilancio dagli effetti sociali, che separa i prodotti, le filiere produttive e le tecnologie dagli effetti sulla salute e sull’ambiente, che separa perfino l’unità produttiva dal luogo in cui è collocata.

Una ricomposizione è necessaria, e a questo la cosiddetta green economy ha fornito finora troppo poche risposte.