Obiettivo comune
Le partnership pubblico-privato strumento di innovazione, responsabilità e fiducia
a cura di Marisa Parmigiani e Alessandra Vaccari
Reti, nuove tecnologie, innovazione, partecipazione e territorio: parole che sempre più spesso, grazie alle partnership pubblico-privato, assumono concretezza e migliorano la qualità della vita dei cittadini. Realizzato in collaborazione con Impronta Etica e Indica, e curato da Alessandra Vaccari e Marisa Parmigiani, Obiettivo comune illustra le principali caratteristiche di queste nuove forme intermedie tra stato e mercato. Oltre a quelli delle due curatrici, il libro raccoglie contributi di Luca De Biase (direttore di Nova24), di Natalia Marzia Gusmerotti e Marco Frey (Istituto di management della Scuola superiore Sant’Anna) e di Roberta Paltrinieri (Università di Bologna). Abbiamo chiesto ad Alessandra Vaccari di illustraci le principali caratteristiche delle PPP.
Quali sono, a tuo avviso, le ragioni di quello spostamento dal globale al locale e dal verticale all'orizzontale di cui le partnership pubblico-privato sono una delle espressioni più significative?
I modelli sociali ed economici basati sul rapporto tra stato e mercato sono in grande difficoltà, ed è diventato evidente che lo stato non può sostituire il mercato né il mercato può sostituire lo stato.
Le nuove tecnologie facilitano le aggregazioni di cittadini che, riunendosi assieme, riescono spesso a dare migliori risposte di quelle tradizionali.
Il territorio è il luogo dove il modello di integrazione tra pubblico privato può funzionare meglio: è qui che il pubblico riesce a definire politiche e il privato a può dare loro attuazione concreta.
Quali sono i settori in cui le partnership pubblico-privato sono più diffuse?
Le partnership tradizionali sono molto diffuse nel settore dell’edilizia e in quello del welfare, mentre quelle innovative trovano una diffusione più ampia nelle attività green e in quelle culturali, ambiti di più inclini all’innovazione.
Qual è stata la risposta delle istituzioni della politica tradizionale? E dal punto di vista della normazione, come siamo messi in Italia?
Le istituzioni hanno pochi strumenti: la partnership tradizionali sono regolate dal codice degli appalti che ne limita di molto il potenziale innovativo e di ricerca e sviluppo, le partnership open innovation non sono regolate ma hanno pochi strumenti a loro disposizione, e quindi solo alcune amministrazioni illuminate se ne servono.
Puoi spiegare il concetto di accountability, centrale in tutta la discussione sulle partnership pubblico-privato?
L’accountability è una disciplina che negli anni Novanta ha dato origine a forme di contabilità non economica, affiancando agli strumenti ordinari di bilancio economico processi di pianificazione e controllo degli impegni ambientali e sociali rendicontati tramite adeguati indicatori. L’accountability (che significa sia responsabilità sia rendicontazione) non è solo un processo limitato all’individuazione, al calcolo e al report di un set di indicatori. I processi devono infatti essere accountable non solo dal punto di vista della fruibilità dei dati, ma anche nella loro capacità di essere essi stessi costruiti attraverso un percorso di collaborazione e di costruzione di un significato.
Per riassumere, si può dire che le partnership pubblico-privato funzionano se il processo si basa su un obiettivo condiviso. È per tale motivo che il processo deve essere trasparente e accountable: si può quindi dire che solo la definizione degli obiettivi e il controllo degli esiti legittima la PPP.
Ci sono, nel nostro paese, casi di partnership pubblico-privato finalizzate (anche) a contrastare il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità?
Ce ne sono molte. Ricordo qui Lacre, Gaia, Lowaste e tutti i progetti LIFE, oltre ad alcuni progetti di social innovation (le stesse cooperative energetiche hanno una valenza di partnership pubblico-privato).