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In questo numero:

Costruire un'altra Europa di Marco Moro
Un'altra Europa รจ possibile? di Paola Fraschini
Dai numeri alle storie di Diego Tavazzi
Chimica verde a cura della redazione
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Dai numeri alle storie
Intervista a Duccio Bianchi
di Diego Tavazzi

In questo articolo parliamo di:
Ambiente in Europa
Indicatori in italia e nel mondo

a cura di Duccio Bianchi, Roberto Della Seta
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Da molti anni, Duccio Bianchi cura la realizzazione degli indicatori del rapporto annuale Ambiente Italia (o, per questa edizione, Ambiente in Europa). Si tratta di una raccolta di dati su una gamma molto articolata di tematiche, che vanno dall’energia agli stili di vita, passando per il riciclo e la gestione dei rifiuti e la capacità di innovazione di un paese o delle sue università. Tabelle, dati e informazioni preziosi per la loro capacità di fotografare i progressi (o, come troppo spesso succede in Italia, i ritardi) di una nazione e che possono essere scaricati gratuitamente dal sito FreeBook Ambiente.it.

Ti occupi degli indicatori da molti anni: ce n’è qualcuno a cui sei più “affezionato”?

Non mi piacciono gli indicatori aggregati, quelli su cui costruiscono molte e celebri graduatorie. Servono a comunicare e trasmettere rapidamente un’informazione, ma sono troppo manipolabili. Quando metti insieme duecento singoli indicatori, li normalizzi e poi ne trai fuori un valore sintetico fai sempre una operazione molto rischiosa, anche se ben supportata da analisi statistiche. In indicatori come questi scendere dal 48° al 54° posto non significa niente, anche se invece significa sicuramente qualcosa se in tutti i tipi di indicatori aggregati figuri a mezza o fondo classifica... Mi piacciono invece gli indicatori sintetici: i consumi energetici o le emissioni di carbonio per unità di Pil, il consumo di suolo pro capite. Sono indicatori che non raccontano il dettaglio di una storia (perché in quel paese i consumi energetici sono minori che nell’altro? perché la tua economia è basata sulla finanza anziché sulla produzione di acciaio? perché si utilizzano meno le auto?), ma ti raccontano come va a finire. E troppi indicatori di dettaglio, senza quelli di sintesi, fanno invece perdere di vista il senso. Guardi tutti i rami e non vedi l’albero.


Numeri da cui si possono tirar fuori storie: gli indicatori possono essere anche questo. Che storia raccontano gli indicatori che riguardano il nostro paese?
Gli indicatori sono belli per questo. Perché ti raccontano delle storie. Una storia bella è quella della reattività dell’economia italiana ai segnali di prezzo. L’Italia, tra la metà degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta è stata un esempio di efficienza energetica: non avevamo combustibili, l’energia costava molto e così sia l’industria sia la società italiana risparmiavano (gli italiani avevano macchine con minori consumi e meno elettrodomestici rispetto a paesi anche con redditi inferiori). Poi tra il 1990 e il 2005 i prezzi dell’energia crollano. E si riduce anche la tassazione sull’energia (o meglio, resta ferma in valore assoluto e quindi, con l’inflazione, si riduce). E l’Italia non migliora neanche di un punto la sua efficienza energetica. Gli altri paesi europei progrediscono tutti, l’industria italiana persino peggiora un po’. Fino al 2005. Fino a che il prezzo dell’energia non comincia improvvisamente a risalire, raddoppiando e poi triplicando e quadruplicando il costo. E allora, come per magia, tutte le opzioni di efficienza energetica lasciate in un cassetto sono state messe all’opera, con risultati persino portentosi.
L’altra storia che mi colpisce, ma è davvero triste, è quella dell’innovazione in Italia. L’Italia non solo investe poco in ricerca e sviluppo, ma soprattutto non ha brevetti. Neanche laddove – come nel settore delle energie rinnovabili – è ormai uno dei leader mondiali. Neanche nei settori tipici del design facciamo qualcosa di meglio della media europea. È persino imbarazzante: in un decennio l’indicatore di brevetti pro capite è rimasto sempre lo stesso, anzi è un po’ sceso. È evidente che se in un decennio la capacità di fare brevetti è rimasta invariata, nonostante l’aumento fortissimo dei brevetti, non si può continuare a giustificarsi tirando in ballo la piccola impresa o la burocrazia dei brevetti. Dipende, magari, dal fatto che l’Italia è anche uno dei paesi europei con meno laureati tra i giovani, con nessuna università qualificata, con un livello di educazione scolastica ben lontano dall’eccellenza (soprattutto nelle regioni meridionali, che sotto tutti i parametri sociali sono al livello della Grecia e della Romania), con un terzo delle persone tra 25 e 54 anni che nell’ultimo anno non ha mai usato il computer (o un tablet) e in cui addirittura il 15% di quelli tra 15 e 25 anni non lo ha usato.