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In questo numero:

Per far ripartire l'Europa serve il carburante green di Antonio Cianciullo
Questa 'crescita economica' è in realtà antieconomica di Robert Costanza
La guerra per la biomassa di Mario Bonaccorso
Economia circolare: la Cina si prepara al prossimo salto di Johnson Yeh
Dalle reti da pesca che inquinano il mare agli skateboard di Nancy Averett
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La guerra per la biomassa
di Mario Bonaccorso


Dopo le guerre per il carbone e per il petrolio, nei prossimi anni prepariamoci alle guerre per la biomassa. La provocazione – ma è davvero solo una provocazione? – l’ha lanciata lo scorso novembre a Düsseldorf, intervenendo alla Conferenza internazionale del cluster Clib2021, Heiner Grussenmeyer, direttore Ricerca e Sviluppo della Stora Enso, il colosso finno-svedese operante nella produzione di pasta cellulosa e carta a livello mondiale.
La volatilità dei prezzi del petrolio e le risorse fossili limitate stanno spingendo i maggiori colossi dell’industria chimica, e non solo, verso l’utilizzo di materie prime alternative: colture alimentari, scarti delle produzioni agricole e rifiuti. La parola d’ordine è sostenibilità: non solo economica ma anche ambientale. E la biomassa è una risorsa rinnovabile ma scarsa, distribuita non in modo omogeneo sul nostro pianeta. Nel caso delle colture alimentari il suo impiego industriale si scontra con la domanda crescente di cibo nel mondo. Per questo motivo, l’Unione europea ha di fatto bloccato qualsiasi sviluppo della cosiddetta prima generazione di biocarburanti, quelli che derivano dall’impiego di materie prime agricole, come grano e mais.

Ma ci sono scarti agricoli e rifiuti in grado di alimentare l’intera bioeconomia? La situazione che si va delineando a livello globale è molto intricata: da una parte la domanda di biomassa cresce e si indirizza non solo alle bioenergie ma anche ai cosiddetti biomateriali e biochemicals, dall’altro si proiettano verso il mercato mondiale della bioeconomia paesi che offrono ampia disponibilità di biomassa come Malesia, Canada, Brasile, ma anche i paesi dell’Europa settentrionale e la Russia, che detengono un enorme patrimonio forestale. Non è un caso che la Biochemtex, società del MossiGhisolfi Group, dopo l’inaugurazione della bioraffineria per la produzione di bioetanolo di seconda generazione a Crescentino, in provincia di Vercelli, sia impegnata oggi in nuovi progetti per replicare l’impianto italiano in Brasile, Cina e Malesia. Il governo di Kuala Lumpur ha messo la biomassa al centro del proprio piano di sviluppo economico dei prossimi anni. Nel 2011 è stata presentata una National Biomass Strategy 2020 focalizzata sull’olio di palma, che già oggi contribuisce all’8% del reddito nazionale: circa 25,5 miliardi di dollari (la Malesia è il secondo produttore ed esportatore al mondo di olio di palma). L’obiettivo è portare il contributo della bioeconomia al prodotto interno lordo (Pil) dall’attuale 2-3% all’8-10% entro il 2020.

Chi al tema ha dedicato numerosi studi è Michael Carus, amministratore delegato del nova-Institut, un centro di ricerca privato con base a Hürth, vicino a Colonia, in Germania. Il nova-Institut è considerato una vera e propria autorità e preso come punto riferimento non solo in Europa ma anche negli Stati Uniti, che citano espressamente le sue ricerche anche nel loro programma di sostegno alla bioeconomia “Biopreferred”.
Ma come si definisce esattamente la biomassa? Gli esperti la definiscono come la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l’acquacoltura, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani.

Secondo Carus, il vero problema oggi non è tanto la sua scarsa disponibilità quanto la “allocazione impropria”. Soprattutto in Europa. Bioenergia e biocarburanti dovrebbero costituire approssimativamente circa il 60% della quota complessiva di energie rinnovabili prevista dalla direttiva europea (Red, Renewable Energy Directive) e circa il 90% della quota dei trasporti entro il 2020. Se si limitassero tali percentuali rispettivamente al 40-50% e 80%, una dose significativa di pressione verrebbe tolta dalla biomassa.
Questo tipo di regolamentazione sarebbe più utile rispetto alla limitazione della quota dei biocarburanti di prima generazione, i quali spesso possono essere molto più efficienti nell’impiego del territorio rispetto a quelli di seconda generazione. La percentuale mancante – suggerisce il ricercatore tedesco – potrebbe essere ottenuta da una quantità maggiore di energia solare ed eolica e da altre fonti rinnovabili. Per quanto riguarda invece la percentuale di biocarburanti nel settore dei trasporti bisogna tenere conto che le alternative quali le auto elettriche e ad anidride carbonica non sono ancora sufficientemente disponibili sul mercato. Ma vanno adeguatamente incentivate per frenare l’impiego di biomassa.

Carus è uno dei pochi in Europa a sostenere con forza che la contrapposizione tra prima e seconda generazione di biocarburanti non ha senso. In uno dei suoi studi – “Food o non-food: quali materie prime agricole sono migliori per gli usi industriali” – il fisico tedesco scrive espressamente che “tutti i tipi di biomassa dovrebbero essere accettati per usi industriali”.
La scelta dovrebbe dipendere da quanto la biomassa può essere prodotta in modo sostenibile ed efficiente. Le misure politiche non dovrebbero distinguere semplicemente tra colture alimentari e non alimentari, ma utilizzare criteri come la disponibilità di terreni, di risorse e di efficienza del territorio, la valorizzazione dei sottoprodotti e delle riserve alimentari d’emergenza. Non mancano studi che hanno dimostrato come molte colture alimentari siano più efficienti nell’impiego del territorio rispetto alle colture non alimentari. Ciò significa, per esempio, che è necessaria meno terra per la produzione di una certa quantità di zucchero fermentabile – che è particolarmente cruciale per i processi biotecnologici – di quanta sarebbe necessaria per produrre la stessa quantità di zucchero con le presunte “non problematiche” colture non alimentari lignocellulosiche di seconda generazione.
Carus critica espressamente la politica bioenergetica e dei biocarburanti dell’Ue, come previsto dagli obiettivi ambiziosi fissati dalla Red, perché essa porta all’allocazione sistematica delle biomasse a scopi energetici a scapito dei materiali… Continua a leggere su Materia Rinnovabile n. 2, febbraio 2015

 

Mario Bonaccorso è giornalista esperto di finanza ed economia. Lavora per Assobiotec, l’Associazione italiana per lo sviluppo delle biotecnologie.