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Giallo oro
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Materia Rinnovabile
Rivista internazionale sulla bioeconomia e l'economia circolare
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Si ha la sensazione che questo 21° sarà un grande secolo per l’urina. Naturalmente il suo ruolo centrale nell’esistenza dei viventi non deve essere riscoperto, ovvero non è che nel 21° dobbiamo rivalutarla e impegnarci quindi a “praticarla” di più. Quel che si fa è infatti ineludibile. Ma è proprio una grande progettualità quella che si sta sviluppando, in più modi, per non buttarla via. Ciò si inserisce in una cornice culturale che trovo di grande fascino: le tecnologie più avanzate ci consentono di individuare comportamenti virtuosi che sono connessi ai nostri fondamentali di esseri viventi che abitano un pianeta. Tuttavia, poiché fra i fondamentali ci sta pure il desiderio di essere ricchi, non sorprende che un passaggio cruciale verso la valorizzazione del liquido organico sia stato quello di considerarla come una sostanza trasformabile in oro.

Avvenne intorno al 1670, quando la chimica era una tecnica tanto approssimata da considerare il colore giallo come una efficace premessa verso il prezioso metallo. Hennig Brand, alchimista tedesco, raccolse nella cantina della sua abitazione 50 secchi di urina e lì li tenne per un certo numero di mesi smanettandoli con diverse sostanze fino a ottenere un pastone giallo, una specie di cera, che risultò non essere vendibile ai gioiellieri del tempo ma in compenso si scoprì che reagiva al contatto con l’aria, prendendo fuoco. Il pastone fu chiamato fosforo, se ne capirono immediatamente le potenzialità e subito ci si ingegnò a ricavarlo con metodi meno sgradevoli delle secchiate di urina. Fu una scelta giusta, per quei tempi e per quelli che seguirono. Oggi invece non è possibile ignorare il fatto che il nostro corpo produce fosforo e quindi estrarlo dalle miniere di rocce fosfatiche è un po’ una sciocchezza.

Il fosforo è un elemento base per fertilizzare i campi, insieme al potassio e all’azoto, tutta roba contenuta abbondantemente nel liquido giallo. In Olanda la vicenda è partita, con spettacolari eventi, ad Amsterdam: una piazza densamente popolata di orinatoi appositamente studiati per raccogliere l’urina. Allo studio – variante fondamentale – una versione al femminile dei metodi di raccolta. In realtà quello a cui si sta pensando, ovviamente, non è l’occupazione delle piazze – format tecnologico che andrebbe però mantenuto per la raccolta in occasione di grandi concerti, per esempio (anche per i raduni politici? Meglio rifletterci sopra) – ma la messa a punto di strategie a monte, ovvero nelle abitazioni. È cosa che si può fare, evitando di inviare tutto nel sistema fognario. Una cifra: da un milione di persone si potrebbero produrre 1.000 tonnellate di fertilizzanti in un anno. Attenzione: è tanto. E non stiamo prendendo in considerazione gli animali, quelli che abbiamo negli allevamenti, per esempio.

Anche elettricità. Con un litro di urina si può far funzionare un cellulare per sei ore. No, non si tratta ora di pensare a impresentabili smartphone a forma di pappagallo ospedaliero. Il tema è più generale: ci sono vari approcci tecnologici per estrarre elettricità dall’urina. Essa, per esempio, si presta molto bene – è per loro un graditissimo “alimento” – a sfamare orde di batteri che, spezzando i legami chimici della materia organica (perché se la mangiano), producono un flusso di elettroni. La tecnologia si basa, in questo caso, sulle cosiddette celle a combustibile microbiche, il cui funzionamento, andando al sodo, si basa sul servire ai batteri un pasto all’interno di uno strumento provvisto di anodo e catodo. La buona vecchia e sempre efficiente elettrolisi, insomma.
C’è chi ha calcolato che l’urina, fra umani e animali da allevamento, disponibile giornalmente, si collochi intorno ai 38 miliardi di litri. Se con un litro si telefona per 6 ore, siamo a 228 miliardi di ore al giorno. Coprono il fabbisogno telefonico di questa nostra umanità ovunque connessa? O si dovrà ricorrere a dei diuretici?