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In questo numero:

Contro la fame, oltre il cibo di Antonio Cianciullo
Come l'arte può guarire la natura di Nancy Averett
Tolleranza zero di Carlo Pesso
Il cartone vince sul degrado di Sergio Ferraris
Uova e miniere di Federico Pedrocchi
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Uova e miniere
di Federico Pedrocchi


Nella millenaria storia delle tecnologie innovative prodotte da noi umani c’è una direzione costante. È quella che in gergale da set cinematografico si chiama “buona la prima” e cioè quando la prima scena girata viene bene e si può passare alla seconda. Ovvero, la prima è chiusa e non se ne parla più. Non è sempre così per tutte le scelte tecnologiche, ma per un numero ragguardevole – e importante – lo è.

Al termine della Seconda guerra mondiale la marina militare statunitense pensò subito alla costruzione di un reattore nucleare per i sommergibili. La Westinghouse ne ricavò immediatamente un modello per usi civili e per i decenni successivi non si vide altro in circolazione, sebbene già a metà degli anni ’50 fossero apparsi i primi progetti di reattori a sicurezza intrinseca, ovvero quelli che adesso si definiscono di quarta generazione. Enormemente più sicuri, a parte, naturalmente, la gestione delle scorie. Nessun rimpianto per un nucleare perduto; qui ciò che conta è il meccanismo dell’innovazione che, per un insieme molto preciso di ragioni economiche e anche politiche, può congelare una soluzione e ignorare le molte sue possibili evoluzioni.
La scienza dei materiali sta generando, di fatto, una forte pressione per grandi deviazioni di percorso. Una delle più recenti sembra destinata a creare una stagione conflittuale fra le miniere di calcio e le uova.

Ivan Cornejo, ricercatore cileno operativo negli Stati Uniti, ha studiato i danni ambientali prodotti dalle miniere di calcio, in Asia per esempio, e ha lavorato su una possibile alternativa: estrarre il calcio dai gusci delle uova che finiscono nella spazzatura. E poi oltre al calcio ha anche scoperto che diversi tipi di materiali vetrosi si possono recuperare dai rifiuti alimentari: gusci di arachidi, bucce di banane e di granoturco. È vero, può sembrare strano che si passi dalle miniere alle verdure che si trovano nei mercati, ma non dobbiamo sorprenderci perché l’universo è certamente sconfinato ma quando puntiamo i nostri spettroscopi verso corpi celesti lontanissimi si trova sempre la stessa zuppa di elementi. E questo è un fatto prodigioso e allo stesso tempo molto utile per capire come la sostenibilità è un obiettivo che si può praticare con intelligenti alchimie sostitutive.
Dopodiché si può segnalare che – non per quelle a cielo aperto, tuttavia – la Fondazione Edmund Mach di Trento ha sviluppato un progetto per la conservazione delle mele nelle miniere abbandonate, interessante per una semplice ragione: c’è fresco naturale e quindi niente frigoriferi che consumano molta energia. Ma di frigoriferi e verdura ne parliamo un’altra volta.

Insomma, scaviamo miniere da un sacco di tempo ma molti materiali si trovano in tanti luoghi e forme intorno a noi. Oggi abbiamo gli strumenti per recuperarli (magari è già da un po’ che li abbiamo...). Per esempio: durante la pulizia delle strade si potrebbero ricavare metalli preziosi dalla polvere che su di esse si deposita. Platino, palladio, rodio. È tutta roba che esce dalle marmitte catalitiche. Angela Murray (Università di Birmingham, UK) ha messo a punto un sistema per farlo.
Mats Eklund, dell’Università di Linköping, Svezia, ha analizzato quanto ferro, rame e alluminio, si trova interrato nella rete di cablature d’ogni tipo che giace sotto le strade delle nostre città, come cavi e congegni vari non utilizzati. Hanno fatto un esperimento su tre cittadine svedesi, e proiettando i risultati sulla situazione nazionale hanno stimato la presenza di 630 milioni di dollari di materiale recuperabile, a costi inferiori a quelli necessari per estrarlo dalle miniere.

Articolo pubblicato su 'Materia Rinnovabile', n. 5 agosto 2015