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In questo numero:

Basta la parola! di Marco Moro
Clima, accordo storico ma senza target quantitativi di Maria Antonietta Giffoni Redazione Nextville
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Basta la parola!
di Marco Moro


Così in un vecchio spot pubblicitario si promuoveva un noto confetto lassativo. Sarebbe un parallelo oltremodo volgare riprendere questa immagine e applicarla alle due settimane di intensissime trattative che hanno preceduto l’accordo di Parigi. La trattiva però, come è ormai noto, rischiava di incagliarsi su singola parola; modificarla, passando da un “devono” a un "dovrebbero” ha sbloccato la situazione e quindi, ancora una volta, è bastata la parola.

Seriamente: su questa sostituzione di una singola parola si sono fortemente focalizzate le critiche all’esito di Cop 21. Le azioni improntate alla realpolitik raramente diventano popolari. Se però quel passaggio da un indicativo a un condizionale permetterà agli Stati Uniti di evitare la necessità di far ratificare l’accordo in Senato, dove certamente verrebbe affossato, l’assunzione del confetto produrrà più benefici che danni.
Sicuramente il testo dell’accordo va letto più in chiave politica che scientifica, e anche la scomparsa del dato scientifico come materia del contendere è un fatto rilevante. Da ora il “negazionismo” si sposterà totalmente sull’accanita messa in discussione di quelle disruptive technologies, di cui parla Gianni Silvestrini in “2°C”, in grado di consentire una rapida uscita dai fossili e di dare concretezza alle intenzioni espresse dall’accordo di Parigi.
Non più “scienziati” o pseudo tali, anche malamente camuffati, ma economisti e “tecnici” saranno i prossimi protagonisti assoluti del negazionismo-non più climatico, mentre alle loro spalle continueranno a lavorare la lobby che finora hanno operato per contrastare o ritardare l’adozione di efficaci politiche sul clima e sugli altri grandi fattori di crisi degli equilibri ambientali. Anche a casa nostra. Con quale forza e per quanto tempo, se è vero che il mercato si sta spontaneamente orientando verso le clean technolgies, è tutto da vedere.

Tra le tante letture di un accordo che segna comunque un passaggio storico – se non altro per la ricomparsa sulla scena di una governance globale da troppo tempo data per dispersa – vale la pena di inoltrarsi. Perché in molte di queste, sia di segno favorevole sia critico rispetto a quanto accaduto a Parigi, sono contenuti elementi utili a comporre un quadro di dove siamo oggi, all’inizio dell’era post-Cop21 (e post-Kyoto), di quali sono le problematiche in campo, quali le soluzioni e i trend con cui si stanno costruendo. Tra i nostri autori abbiamo alcune delle voci più autorevoli tra quante si sono espresse a Parigi e su Parigi, sia in ambito internazionale sia nazionale: Johan Rockström, il già citato Gianni Silvestrini, James Hansen, Bill McKibben. E se Lester Brown, dalla sua meritata pensione, avesse voglia di commentare, certamente approverebbe la netta affermazione – contenuta nell’accordo – della necessità di trasformare il sistema energetico mondiale, tema oggetto del suo ultimo libro, The Great Transition.

Affermare che il 2016 sarà il primo anno di questa transizione sarebbe un eccesso di retorica e anche una sostanziale falsificazione. Ma se davvero l’anno prossimo l’Antropocene, l’epoca caratterizzata dall’attività umana, verrà inserito ufficialmente tra le ere geologiche in cui è suddivisa la storia del pianeta, sarebbe curioso se ciò coincidesse con l’accelerazione delle azioni necessarie a ridurre tale impatto e a riportare i fenomeni di crisi a livelli progressivamente meno pericolosi per la sopravvivenza del mondo per come lo conosciamo. 

Buon 2016.