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In questo numero:

Il culto delle Grandi opere di Marco Moro
Rallentare la grande accelerazione per custodire la bellezza di Diego Tavazzi
Sulla Brebemi non si gioca più a calcio. Però... a cura di Diego Tavazzi
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Sulla Brebemi non si gioca più a calcio. Però...
Intervista a Roberto Cuda
a cura di Diego Tavazzi

In questo articolo parliamo di:
Anatomia di una grande opera
La vera storia della Brebemi

di Roberto Cuda, Damiano Di Simine, Andrea Di Stefano
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... Chiunque l’abbia percorsa si sarà accorto che di traffico ce n’è davvero poco. E quindi, anche ammesso che da qui a breve tempo l’economia del nostro paese inizi a galoppare, e che frotte di auto, furgoni e camion riprendano a sfrecciare sulla rete autostradale, qual è il senso di opere come questa? Soprattutto considerando che le Grandi opere fanno Grandi danni all’ambiente, che la collettività si arricchisce poco o niente, mentre fanno affari d’oro i soliti (pochi) noti, e che di proposte alternative al modello “strade – cemento – capannoni” ce ne sono parecchie e anche di assai valide. Ne abbiamo parlato con Roberto Cuda, uno degli autori di Anatomia di una grande opera, volume che indaga sulla “vera storia della Brebemi” e che segna il ritorno nelle librerie della collana VerdeNero inchieste.

Siamo a metà gennaio 2016, è passato un anno e mezzo dall’inaugurazione del luglio 2014. Com’è oggi la situazione della Brebemi? I flussi di traffico sono in linea con le previsioni? E rispetto al momento in cui avete chiuso la vostra indagine sull'autostrada ci sono state novità?

Nel mese di settembre sono transitati 26,8 milioni di veicoli, pari a 14.385 veicoli giornalieri (dati Aiscat. Per avere il dato giornaliero – tecnicamente si parla di Tasso giornaliero medio – si divide il numero dei veicoli per mese per 30 e per i chilometri, 62,1, ndR), leggermente al di sopra dei 13.205 registrati a giugno e riportati nel libro, ma largamente al di sotto delle previsioni. Chiunque ha percorso l’arteria avrà constatato di persona la scarsità di traffico, nemmeno paragonabile alla parallela e trafficatissima A4. I conti andranno fatti a fine anno, ma con questi numeri non c’è da essere ottimisti.

Nel vostro libro scrivete che la Brebemi è un prodotto dell’“ideologia delle Grandi opere”. Potete spiegare che cos’è questa ideologia? E se ne vede la fine, almeno nel nostro paese?

L’ideologia delle grandi opere è costruita sulla convinzione che per rilanciare l’economia del paese sia necessario puntare sulle grandi opere. È un’ideologia dogmatica e refrattaria a ogni critica, sostenuta da una larga schiera di esponenti politici, docenti e naturalmente costruttori, in gran parte riuniti in potenti fondazioni come Astrid, Italiadecide e ResPublica, che hanno solide entrature nella politica nazionale e nei media. Nel nostro paese essa si declina anche nella proliferazione di progetti autostradali, in controtendenza con quanto avviene nei paesi europei più avanzati, che stanno puntando su altre modalità di trasporto. Il nuovo ministro delle infrastrutture Graziano Del Rio sembra voler puntare maggiormente su piccole opere, sul trasporto ferroviario, sulla logistica e sulla tutela del territorio, in linea con un nuovo orientamento che sta attraversando anche le forze politiche, complici gli scandali dell’ultimo decennio. Ma i segnali sono ancora deboli e contraddittori, come dimostra quanto sta accadendo in Lombardia.

Chi sostiene le Grandi opere afferma che sono necessarie perché fanno crescere il Pil del paese e generano occupazione. È davvero così?
Qualunque opera ha delle ricadute sull’economia nazionale, ma non c’è alcuna dimostrazione sull’effettiva incidenza delle Grandi opere in termini di Pil, mentre le analisi sui flussi di traffico e sull’utilità delle opere si sono rivelate molto spesso ampiamente sovrastimate. Al contrario, un’opera inutile e in perdita finisce per bruciare valore e sottrarre reddito ai cittadini, che potrebbe essere impiegato in modo più produttivo. Senza contare il capitale naturale che viene distrutto per sempre e le ricadute sull’ambiente, sull’equilibrio idrogeologico, sul consumo di suolo fertile, sulla produzione di cibo e sulla qualità della vita della gente, tutti fattori che alla fine incidono anche sull’economia. Sul fronte occupazionale, secondo alcuni studi le autostrade impiegano 165 lavoratori per chilometro. Si tratta evidentemente di occupazione temporanea, mentre non si contano mai i posti di lavoro persi per sempre nel territorio, parliamo di migliaia di aziende – non solo agricole – che vengono espropriate dal passaggio di un’autostrada.