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In questo numero:

Lo shopper equo e solidale di Antonio Cianciullo
Così la Brexit penalizza la bioeconomia di Christian Patermann
La rinascita dei materiali eco-locali di Dominique Gauzin-Müller
Le biomasse possono fare la differenza di Maurizio Cocchi
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Così la Brexit penalizza la bioeconomia
di Christian Patermann

In questo articolo parliamo di:

Materia Rinnovabile
Rivista internazionale sull bioeconomia e l'economia circolare

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I media sono pieni di notizie e analisi sulla Brexit; se ne parla nelle case di tutta Europa, mentre politici, investitori, industriali e cittadini stranieri residenti nel Regno Unito (e viceversa) passano notti insonni a confrontarsi sul tema. 

Allora perché concentrarsi – anche solo per un attimo – sull’impatto che produrrà la Brexit sulla bioeconomia?

La risposta è piuttosto semplice: è difficile trovare un altro ambito nel settore della ricerca e sviluppo tecnologico, nell’innovazione e nella futura cooperazione transnazionale europea più indicativo – e più adatto – a prestarsi come vetrina delle infauste conseguenze di quanto deciso il 23 giugno.

Certo, il Regno Unito, i suoi politici, ricercatori e imprenditori non sono mai stati tra gli entusiasti della bioeconomia: non erano nel gruppo dei pionieri o tra i più convinti promotori dello sviluppo dell’ idea – vecchia e nuova allo stesso tempo – di incrementare l’uso delle risorse biologiche. I maggiori sostenitori si trovavano piuttosto nei paesi del Benelux, della Scandinavia, in parte in Germania e, in un secondo momento, in Italia e Francia se parliamo di bioeconomia applicata. 

Sulle prospettive di una biobased economy europea i rappresentanti della Gran Bretagna hanno tenuto un atteggiamento più del tipo “aspetta e osserva”; evidentemente hanno preso tutto il tempo che serviva loro per arrivare a definire cosa potesse essere meglio per il paese, le sue industrie e la sua società. Non essendo in generale il Regno Unito una terra a forte vocazione agricola, non possedendo un’abbondanza di risorse in biomassa, ma dovendo gestire invece grandi quantità di rifiuti, il governo britannico ha ragionato con attenzione seguendo un approccio step-by-step. Nonostante l’assenza di una strategia nazionale, e pur cercandone intensamente una, si sono sviluppate aziende di fama mondiale come Nnfcc, Celtic Renewables e Biome Bioplastics, mentre BioVale (cluster tecnologico della regione dello Yorkshire and Humber) è diventato partner in interessanti progetti di cooperazione con paesi del Benelux, Francia e Germania. 

La Scozia – tra le prime regioni europee a farlo – ha sviluppato una strategia per bioraffinare autonomamente e nel 2012 per la prima volta in un Parlamento si è discusso durante un’audizione sulle potenzialità della bioeconomia. 

I colleghi del Regno Unito, nonostante il loro “percorso in salita” – come lo ha giustamente definito Mario Bonaccorso nel recente Dossier UK scritto per Materia Rinnovabile – erano e sono consapevoli di avere forti e indubbi vantaggi, veri punti di forza se paragonati al resto d’Europa: realtà di eccellenza nei campi della ricerca, della tecnologia e dell’innovazione che operano e “fanno scuola” nel paese. Inoltre, la Gran Bretagna può vantare capacità e competenze tecniche pressoché uniche nella creazione di network, nella capacità di integrare e di applicare un approccio pragmatico nel trasferimento delle conoscenze ai prodotti, lungo tutta la catena del valore. E non va ovviamente dimenticato uno spiccato senso dell’economia. Si tratta evidentemente di competenze essenziali per il decollo della bioeconomia.


… continua a leggere su Materia Rinnovabile 11, luglio-agosto 2016