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In questo numero:

L’età della ciambella di Paola Fraschini
Trasformare l’economia globale a cura di Emanuele Bompan
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Trasformare l’economia globale
Intervista a Kate Raworth
a cura di Emanuele Bompan

In questo articolo parliamo di:

L'economia della ciambella
Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo

di Kate Raworth

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La più grande sfida nel XXI secolo è soddisfare tutti i bisogni dell’umanità, rispettando i limiti del pianeta. Come possiamo assicurare il perseguimento della felicità di ognuno, mettere fine alla povertà, eliminare le ingiustizie proteggendo al contempo la Terra ed evitando di esercitare una pressione eccessiva sui sistemi planetari di sostentamento della vita (suolo, biodiversità, atmosfera) dai quali dipendono tutti gli esseri viventi?
L’economia lineare neoclassica, petro-capitalistica, ha spinto il mondo sull’orlo del collasso. È indispensabile ridefinire l’economia politica. Nell’ultimo anno una grande attenzione si è concentrata sul lavoro dell’economista dell’Institute for Sustainability Leadership, Kate Raworth. Ma non aspettatevi i grafici iper-complessi e le regole “perfette” che stanno alla base dell’economia tradizionale.

“Per trasformare la nostra economia dobbiamo ridefinire la sua narrativa e i suoi simboli. Per questo propongo un nuovo modello basato sulla forma della ciambella.” Davvero, avete capito bene. Ciambella. Ma attenti: Kate Raworth è una pensatrice assolutamente razionale. Autrice di uno dei più importanti libri di questo secolo, L’economia della ciambella. Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo, Kate Raworth per oltre vent’anni si è occupata di definire un metodo per decostruire l’economia neoclassica, lavorando con l’Ong Oxfam, compiendo ricerche sulla diseguaglianza, e collaborando alla stesura dello Human Development Report per l’Undp. E la ciambella è diventata l’icona di un nuovo paradigma economico.  
Abbiamo incontrato Kate Raworth nella sala dell’antico Palazzo Malvezzi a Bologna, un antico salotto intellettuale, per comprendere come le tradizionali curve e linee dell’approccio neoclassico, basate sulla determinazione di beni, prodotti e distribuzione dei profitti tra i mercati attraverso il meccanismo di domanda e offerta, abbiano assolutamente mancato l’obiettivo di fornirci il fine ultimo della vita: un’esistenza sana, felice e fondata sul rispetto. E come la ciambella può salvare tutti noi.

Come ha pensato di usare la ciambella per rappresentare un nuovo modello di equilibrio su scala globale?
“Può sembrare assurdo, ma quando studiavo una rappresentazione grafica del benessere umano e della situazione del XXI secolo è emerso un disegno che somigliava a una ciambella. Nel buco della ciambella sono rappresentate le carenze nelle fondamenta  sociali:  cibo, sanità, acqua, istruzione e alloggi. Chi non sta nel buco della ciambella riesce a vivere una vita dignitosa, con diritti garantiti e opportunità da cogliere. E allo stesso tempo non possiamo oltrepassare il limite esterno della ciambella, poiché significherebbe che esercitiamo una pressione così forte sul pianeta al punto da superarne i limiti (come spiegato da Johan Rockström, nda). Provocando così i cambiamenti climatici, l’acidificazione degli oceani, e minacciando lo stesso sistema vivente che ci sostenta. Quindi, l’obiettivo del XXI secolo è di portare tutti all’interno della ciambella. Oggi siamo oltre i limiti in entrambe le direzioni ma dobbiamo imparare a vivere entro i limiti del pianeta: gli economisti del secolo scorso non sapevano riconoscere il sistema planetario dal quale dipendiamo. Per raggiungere l’obiettivo abbiamo bisogno semplicemente di un’economia adeguata.”

Il suo libro dà un’interpretazione interessante del modello neoclassico: il modo in cui produciamo e consumiamo ha creato un’ideologia riguardo a come dovremmo produrre e consumare, imponendo la crescita come obiettivo manicheo e presentando teorie, come quella di Kuznets, quali leggi assolute della fisica. Quindi la realtà è diventata una copia del modello.
“Noi esseri umani siamo molto influenzati dai racconti su come funziona il mondo.  E lo siamo anche dalle immagini: quelle che disegniamo in ambito economico – insieme alle storie che raccontiamo – modellano il nostro comportamento. E l’economia modella la storia più importante che narriamo, la storia di chi siamo. Una narrativa in cui si dice che siamo spinti solo dall’interesse egoistico. Questo non corrisponde al vero, dobbiamo raccontarci la vera storia di chi siamo, e questo cambierà realmente quello che siamo diventati.”

È tempo di decostruire il modello economico neoclassico e quello neoliberista?
“Gli economisti che ci dicono ‘chi siamo’ hanno un’enorme responsabilità. Perché questo plasma ciò che diventiamo. Non dobbiamo solamente ripensare la storia di ciò che l’economia è. Nell’economia neoclassica mainstream, se chiedo a un professore ‘mi mostri la più grande immagine dell’economia che possiede’, probabilmente mi mostrerebbe il diagramma di flusso circolare, realizzato 70 anni fa da Paul Samuelson (il suo libro Economics: An Introductory Analysis, pubblicato per la prima volta nel 1948, uno dei più grandi classici, ha influenzato gran parte degli studenti di macro-economia del mondo, nda). Eppure questa immagine riporta solo ciò che è monetizzato, solo i flussi, senza il minimo riferimento al mondo vivente. Non si parla di materiali e rifiuti, né dei beni comuni, dei luoghi in cui la gente vive. Abbiamo fatto funzionare la nostra economia mediante una storia piena di omissioni e silenzi riguardo ad alcuni dei principali problemi attuali. Dobbiamo ridisegnare il diagramma e scrivere nuove storie che ci diano un’immagine di quel mondo che davvero vogliamo creare e un modello di noi stessi che sia fedele a tutte le reali possibilità della natura umana.”

Le imprese hanno sempre seguito la regola del profitto. Che aspetto avranno le imprese del XXI secolo?
“Ci sono tre criteri fondamentali che danno forma a un’impresa: lo scopo, la proprietà e il finanziamento. E sono aspetti spesso strettamente interconnessi. Nel XX secolo lo scopo delle imprese era di massimizzare i ritorni degli azionisti e il profitto. ‘Il business del business è il business’ era il mantra. La proprietà era detenuta dagli azionisti, che non avevano mai messo un piede nell’attività e la finanza era gestita attraverso mercati distanti e sempre alla ricerca di tassi di ritorno più alti. Le persone vedevano solo diagrammi di flusso, non incontravano mai i lavoratori, forse nemmeno conoscevano davvero i prodotti. Questo ha contribuito a portarci dove siamo ora, mettendo da parte l’ambiente e le comunità, chiamandole ‘esternalità’. Quando definisci qualcuno o qualcosa come un’esternalità, hai già detto quanto poco lo consideri importante. Abbiamo bisogno di un business con uno scopo esistenziale: perseguire il perpetuarsi della vita, rigenerando l’ambiente. La proprietà deve essere radicata, forse tra i dipendenti o tra gli azionisti che si prendono un impegno a lungo termine nel perseguire lo scopo dell’azienda. La finanza deve dedicarsi non solo al ‘ritorno sugli investimenti’, ma anche al valore sociale e ambientale che le imprese puntano a creare. Quindi la domanda che sta al cuore del business del XXI secolo è: quanti benefici possono essere accorpati, così da poterne distribuire una parte. È una questione di generosità: ‘in che modo posso utilizzare la mia azienda per contribuire ad affrontare un problema sociale o ambientale?’”

Continua a leggere su Materia Rinnovabile n. 17, luglio-agosto 2017