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In questo numero:

Rimettere in circolo Madrid e Barcellona di Antonio Cianciullo
La nuova economia secondo Tim Jackson a cura di Rudi Bressa
Case come alberi, città come foreste a cura di Silvia Zamboni
Meglio riciclare che estrarre di Antonella Ilaria Totaro
Giacimenti tessili in cerca d'autore di Irene Ivoi
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Giacimenti tessili in cerca d'autore
di Irene Ivoi

In questo articolo parliamo di:

Materia Rinnovabile
Rivista internazionale sulla bioeconomia e l'economia circolare

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Investire in strategie di progettazione per la riciclabilità; aumentare il volume di indumenti usati raccolti e indumenti usati rivenduti e il volume di quelli realizzati con fibre riciclate: è questo il recentissimo invito di Global Fashion Agenda (Gfa), al quale hanno aderito nomi blasonati dell’universo moda con l’obiettivo di realizzarne gli obiettivi entro il 2020.

Ma questa è solo una delle possibili occasioni utili per entrare a far parte di un circuito di aziende attente alla sostenibilità che interessa da qualche anno il mondo del fashion. Già nel 2011, infatti, Greenpeace aveva lanciato il programma Detox che aveva raccolto l’adesione di tanti brand super famosi.
Il settore della moda, infatti, si caratterizza per diverse criticità ambientali da fronteggiare.

Genera consistenti scarti di processo e presenta diversi fattori di rischio. Secondo il rapporto di Boston Consulting Group Pulse of the fashion industry del 2017, dal 2015 al 2030 la produzione di rifiuti del settore aumenterà del 63% (rifiuti ed emissioni di CO2 sono i due fattori per i quali si prevedono i maggiori incrementi).
A ciò si aggiunge il fatto che solo una piccola quota di rifiuti tessili viene recuperata a fine vita: le azioni di intercettazione degli abiti usati (come rifiuti urbani) sono purtroppo insufficienti e non sempre trasparenti. Tanto che la ricerca di soluzioni – soprattutto industriali – per dare sbocchi agli scarti di processo da ridurre e/o avviare a riciclo è oggetto di numerosi progetti anche finanziati dalla Ue.

Anche in questo caso il contributo del design e della ricerca può fare la differenza poiché – non raramente – la qualità dei materiali considerati rifiuti da scartare è alta. Per questa ragione il loro recupero rappresenta un’utile opportunità subordinata tuttavia ad alcuni obiettivi: facilitare il processo di riciclo tessile, perfezionare la separazione (automatica) dei rifiuti tessili post-consumo, mettere a punto tecnologie per estrarre coloranti e finiture o in grado di separare il mix di fibre componenti i tessuti, senza danneggiarle. 

In questa direzione si sta muovendo Really, società danese che ha dato vita a una applicazione molto innovativa. Fondata nel 2011 da Wickie Meier, Klaus Samsøe e Ole Smedegaard, Really propone di riciclare prodotti tessili creando con essi un materiale utilizzato per produrre un pannello, il Solid Textile Board by Really, presentato all’ultimo Salone del Mobile di Milano. 

Tutto prende avvio da un flusso di rifiuti immediatamente disponibile – in questo caso prodotti tessili provenienti dalle industrie tessili e della moda, da lavanderie, famiglie, ma anche i cascami di Kvadrat  – di cui si ridefinisce l’uso, trasformandoli in una nuova materia grazie al contributo di designer che sono riusciti a dar vita a prodotti con un più alto valore aggiunto. 

Nella sua composizione il Solid Textile Board riflette la disponibilità dei flussi di rifiuti tessili e costituisce un’alternativa a una serie di materiali esistenti, grazie al fatto di essere altamente flessibile nelle sue applicazioni. 

La regia dell’operazione è di Christien Meindertsma (artista e designer olandese, ndr) che, dopo aver studiato i contorni del fenomeno, ha confezionato anche un elegante e tecnicamente accurato progetto di comunicazione che descrive il modo in cui i resti di strofinacci, canovacci e lenzuola vengono trasformati nel nuovo materiale.

… continua a leggere su Materia Rinnovabile n. 18, settembre-ottobre 2017