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In questo numero:

Avidità, ideologia, ambizione personale, altro che scienza... di Diego Tavazzi
C’è un mondo dopo il Pil di Diego Tavazzi
Addio globalizzazione, è l’ora della performance economy a cura di Paola Fraschini
100 idee per un lavoro verde e sicuro di Maria Antonietta Giffoni Redazione Nextville
Storie e strategie per trasformare il mondo di Arianna Campanile
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Architetture invisibili
di Marco Moro


“Il racconto è come l’acqua in cui nuotano i pesci o l’aria che respiriamo: non lo vediamo più ma è onnipresente. Ci circonda, influenza la nostra visione del mondo, e di conseguenza le nostre scelte.” Così Cyril Dion descrive in Piccolo manuale di resistenza contemporanea (60.000 copie vendute in Francia in pochi mesi) il potere che deriva dalla nostra unica capacità di costruire narrazioni. Il racconto, prosegue Dion, si traduce poi in “architetture invisibili” che guidano la gran parte dei nostri comportamenti quotidiani.

Questo “quotidiano” non va banalizzato. Le architetture che Dion descrive sono gli architravi del nostro modello sociale, veri fondamenti della nostra cultura, da cui evidentemente abbiamo enormi difficoltà a staccarci. Eppure, riconoscere le storie in cui siamo immersi e i loro limiti è oggi un passaggio necessario, fondamentale. Una delle “storie” più difficili da sradicare è infatti quella secondo cui il Pil, il Prodotto interno lordo, è la misura unica ed efficacissima del benessere di un’economia. E siamo di nuovo esattamente al punto in cui Dion – regista, autore e attivista diventato famoso anche dalle nostre parti per il docufilm Domani – inizia a guidarci nella costruzione di nuove narrazioni per realizzare quella che definisce “una visione ecologica appetibile del futuro”. Il Pil, come ogni sistema di misurazione di cui accettiamo la credibilità, condiziona la nostra valutazione non solo di cosa siano le “buone condizioni di salute” di un’economia” ma delimita il campo di ciò che vi contribuisce. Restringe la visuale al punto di non permetterci di comprendere che “economia” è qualcosa di diverso dal valore a prezzi di mercato dei beni e servizi prodotti all’interno di un paese in un determinato periodo. L’analisi degli effetti di un “pensiero unico dell’economia” che usa acriticamente e impropriamente il Pil per definire ciò che in realtà questo indicatore non misura affatto è l’obiettivo di Il mondo dopo il Pil, scritto da Lorenzo Fioramonti, oggi ministro dell’Istruzione, durante gli anni di insegnamento all’Università di Stellenbosch, in Sudafrica. Il libro mette in evidenza come la distorsione nell’uso di una metrica che perfino il suo ideatore riteneva inadeguata a rappresentare il benessere di un’economia sia la perfetta “copertura” di un modello economico che non vuole fare i conti con i propri effetti a livello ambientale e sociale, per continuare a proporre la favola della crescita infinita. Una micidiale “bolla ideologica” che un altro tra i nostri autori di maggior prestigio, Tim Jackson, torna ad attaccare in un recentissimo articolo uscito su Science. Confutando un’altra narrazione affascinante quanto infondata: quella secondo cui la tecnologia da sola basterà a garantirci la possibilità di continuare a crescere indefinitamente, riducendo progressivamente i nostri impatti sull’ecosistema. Come fa Jacskson in quella pietra miliare che è Prosperità senza crescita, anche Fioramonti in Il mondo dopo il Pil descrive gli effetti positivi che l’adozione di metriche diverse produrrebbe tanto a livello globale quanto a scala locale, arrivando a ridisegnare la geografia di un mondo che siamo abituati a leggere attraverso le classifiche della crescita.

E ancora storie di “fabbricatori di false narrazioni” sono quelle che raccontano Naomi Oreskes e Erik Conway, in Mercanti di dubbi. “Chiunque sia interessato al futuro della democrazia dovrebbe leggere questo libro”, commentava Al Gore all’uscita, nel 2010 dell’edizione originale di questo volume. Mercanti è un libro che ha suscitato un dibattito accesissimo alla sua uscita e negli anni a seguire, svelando i meccanismi tuttora funzionanti con cui interessi economici e di parte hanno messo in discussione o impedito la diffusione di quanto la scienza andava scoprendo su temi di cruciale importanza per l’ambiente e la salute. Usando la stessa autorevolezza della scienza per confondere e disinformare l’opinione pubblica. Storie esemplari e assolutamente attuali, in un tempo di negazionismo scientifico in grande espansione. Storie che, come afferma Naomi Oreskes nell’intervista rilasciata a Emanuele Bompan e che apre la nostra edizione di Mercanti, non sono cambiate, i meccanismi, le leve utilizzate da chi vuole distorcere i dati e le acquisizioni cui arrivano la comunità scientifica o singoli scienziati, sono sempre le stesse. Le stesse che sono state usate per fare disinformazione sul fumo, sul Ddt, sul buco dell’ozono, sul nucleare. Le stesse he sono usate ancora oggi per fare disinformazione sul cambiamento climatico.

C’è poco da rallegrarsi nel constatare che, pubblicata con dieci anni di ritardo, l’edizione italiana del lavoro di Oreskes e Conway è più attuale oggi di quanto lo sarebbe stata nel 2010.
Storie quindi, architetture invisibili che orientano pensiero e azione con una forza di condizionamento straordinaria. E libri che le mettono a nudo, svelandone codici, meccanismi e veicoli di diffusione, fornendoci strumenti preziosi per non farci incantare ancora.