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In questo numero:

Resilienza editoriale di Marco Moro
Ambiente e malattia, un approccio circolare di Paola Fraschini
13 proposte per trasformare il mondo, oggi e domani di Diego Tavazzi
Soluzioni globali per la sfida climatica di Arianna Campanile
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13 proposte per trasformare il mondo, oggi e domani
di Diego Tavazzi

In questo articolo parliamo di:

Reinventare la prosperità
Jorgen RandersGraeme Maxton

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Secondo uno studio pubblicato di recente sui PNAS, intitolato “Future of the human climate niche”, in uno scenario business as usual, cioè con un’accelerazione delle emissioni, da qui al 2070 un terzo della popolazione globale potrebbe vivere in condizioni analoghe a quelle oggi presenti nel deserto del Sahara.

Scritto da un team di esperti di scienze della complessità, lo studio parte dal concetto di nicchia climatica, vale a dire quell’insieme di condizioni climatiche che permettono a una specie di prosperare in un determinato ambiente. Negli ultimi 6.000 anni, ci siamo evoluti entro un range abbastanza ristretto di temperature annuali medie, comprese tra 6 e 28 °C, ma oggi il riscaldamento globale rischia di spingere enormi quantità di persone fuori da questa nicchia. Gli impatti peggiori si avranno proprio in quei paesi che, con ogni probabilità avranno meno risorse e capacità per l’adattamento. Solo per fare qualche esempio, secondo gli autori della ricerca, nel 2070 temperature sahariane caratterizzeranno le vite di 1,2 miliardi di persone in India, di quasi mezzo miliardo di persone in Nigeria e di più di 100 milioni in Sudan e Niger.

Da sempre, la risposta ai grandi cambiamenti ambientali sono state le migrazioni, ma fino a oggi i numeri sono stati di parecchi ordini di grandezza inferiori rispetto a quelli previsti nello studio dei PNAS.

Se flussi migratori relativamente contenuti, come quelli registrati negli ultimi anni, hanno contribuito a scuotere alle fondamenta l’assetto di moltissimi paesi sviluppati – intrecciandosi con le tensioni sociali aggravatesi dopo la crisi del 2008 hanno favorito l’ascesa dei populismi reazionari in gran parte del pianeta – è ragionevole pensare che tra qualche decennio la situazione rischierà di diventare assolutamente ingestibile.

Per fortuna, una risposta c’è, e sembra essere quella che, seppure a macchia di leopardo, si è delineata nelle ultime settimane, caratterizzate dalla pandemia causata dal Covid-19: le crisi sistemiche possono essere affrontate da Stati forti che basano le proprie decisioni e strategie di intervento sulle indicazioni della comunità scientifica.

È questa l’indicazione alla base di Reinventare le prosperità, in cui Jorgen Randers e Graeme Maxton indicano proprio nel ruolo dello Stato il principale correttivo ai disastri causati dall’applicazione incontrollata dei dogmi neoliberisti. Se negli ultimi decenni c’è stato un notevole miglioramento delle condizioni di gran parte della popolazione globale, questo si è verificato a danno dell’ambiente (e della stabilità climatica prima di tutto) e a spese dell’uguaglianza intra- e intergenerazionale. Viviamo in società sempre più indebitate e anziane, che stanno erodendo la ricchezza accumulata negli anni del boom economico, e i tassi di disoccupazione si stanno innalzando a causa dell’inarrestabile diffusione dell’Intelligenza artificiale e dei robot. In questo contesto, una piccola frazione della società prospera a spese del resto della comunità, mentre gli scompensi ambientali e i costi associati all’estrazione delle materie prime necessarie per far funzionare l’economia rischiano di inceppare il motore economico. Randers e Maxton mettono in fila 13 proposte, pragmatiche e innovative, per ribaltare questa situazione. Si tratta di misure – ridurre la lunghezza dell’anno lavorativo, innalzare l’età pensionabile, ridefinire il “lavoro retribuito” per includere chi si prende cura di altri a domicilio, aumentare i sussidi per la disoccupazione per mantenere la domanda durante la transizione, aumentare le tasse alle società e ai ricchi per ridistribuire i profitti (in particolare dalla robotizzazione) e contrastare i paradisi fiscali, espandere l’uso dei pacchetti di stimolo verdi o aumentando le tasse per aiutare i governi a contrastare il cambiamento climatico, tassare le emissioni di carbonio, spostare le tasse dal lavoro alle emissioni, aumentare le tasse di successione, incoraggiare la sindacalizzazione, limitare il commercio transnazionale laddove necessario, incoraggiare le famiglie più piccole per ridurre la pressione dell’umanità sul pianeta, introdurre un reddito minimo garantito – che richiedono un intervento degli stati, e che quindi rischiano di essere di non facile attuazione, ma che sono il minimo necessario se vogliamo evitare di uscire dalla nicchia climatica e precipitare nel caos dell’ingovernabilità globale.