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Intervista a Isabella Alloisio
di Carlo Pesso

In questo articolo parliamo di:
The Policy Drivers of Photovoltaic Industry Growth in California, Germany, and Japan
di Isabella Alloisio
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I giovani ricercatori sono una risorsa per il futuro. Non solo; la biblioteca Freebook di Edizioni Ambiente, che distribuisce gratuitamente i loro lavori in formato elettronico, vuole dimostrare come i giovani ricercatori siano una risorsa di oggi per oggi. Infatti, dottorati di ricerca e tesi di laurea offrono un’analisi delle tendenze in atto, descrivono ciò che sta avvenendo e preludono ciò che presto potrebbe avvenire. Questo è il caso del primo dottorato di ricerca pubblicato in Freebook: The Policy Drivers of Photovoltaic Industry Growth in California, Germany, and Japan di Isabella Alloisio. La giovane analista, ora in forza presso l'Autorità per l'Energia, propone un’analisi utile per aziende della filiera fotovoltaica che operano sui mercati internazionali oltre che per tutti quelli che partecipano alla definizione delle politiche in questo ambito. 

Oltre a descrivere le politiche di incentivazione il tuo The policy drivers of photovoltaic industry growth in California, Germany and Japan contiene indicazioni utili alla definizione delle strategie di impresa; puoi descriverci quali sono le tue principali conclusioni e raccomandazioni in questo senso?

Nella mia tesi ho investigato come le politiche che puntano alla promozione della ricerca e sviluppo hanno una forte correlazione positiva con la crescita dell’industria fotovoltaica, mentre dall’altra le politiche a sostegno dell’energia solare incidono solo indirettamente sulle performance di mercato di questa industria.

Le prime sono quelle che spingono verso l’innovazione tecnologica e che influenzano in maniera positiva, diretta o indiretta (agevolazioni o sgravi fiscali alla ricerca), la strategia aziendale. Le aziende dovrebbero non solo cercare di reinvestire una percentuale congrua dei propri profitti in ricerca e sviluppo al fine di diventare sempre più competitive internazionalmente, ma dovrebbero anche avere come obiettivo la protezione delle proprie invenzioni nei registri nazionali e internazionali dei brevetti. Anche qui, le aziende potrebbero scegliere di aprire stabilimenti di ricerca e sviluppo all’estero dove le condizioni per condurre la ricerca siano migliori, non solo in termini di finanziamento, e sgravi fiscali, facilità di accesso al credito, ma anche laddove esista una politica di protezione dei brevetti sviluppata.

Dall’altro canto, le politiche a sostegno della produzione di energia solare di un paese influenzano non solo le strategie delle aziende nazionali ma anche quelle di altri paesi. Le aziende orienteranno le loro politiche commerciali a seconda di dove sono più alti gli incentivi a kWh prodotto, non solo vendendo i pannelli solari, ma anche aprendo società sussidiarie o joint ventures che possano operare nel mercato straniero e costruire impianti di produzione di energia elettrica con la propria tecnologia. Politiche a sostegno della diffusione di energia solare, fintanto che esse sono chiare e durature, favoriscono una situazione concorrenziale tra imprese che gioverà all’abbattimento dei prezzi del kWh. Per definire i migliori mercati di sbocco le aziende fotovoltaiche dovrebbero guardare oltreché alle politiche di incentivazione nazionali e internazionali, ai trend di crescita della domanda di energia elettrica nei vari paesi, alle politiche di efficienza energetica, e ai target nazionali e regionali.

Sulla base delle esperienze descritte, quali accorgimenti potrebbero potenziare il sistema di incentivazione italiano e promuovere lo sviluppo di una vera e propria filiera del fotovoltaico?

Per lo sviluppo della filiera del fotovoltaico andrebbe preso come esempio di best practice il caso del Giappone, dove importanti politiche di ricerca e sviluppo negli anni immediatamente successivi alla prima crisi petrolifera, accompagnati da importanti investimenti privati da parte delle aziende, hanno portato a ingenti investimenti in nuove tecnologie di energia solare fotovoltaica. Il Giappone ha puntato allo sviluppo di un’industria nazionale solida, e non si è invece concentrato tanto sulla crescita dell’installato nazionale, che è principalmente residenziale, favorendo in tal modo l’esportazione e l’affermarsi delle aziende giapponesi nel mercato globale come le prime del settore. Il punto di forza dell’industria fotovoltaica giapponese è stato quello della collaborazione in ricerca tra industrie del settore fortemente spinto dal governo, e l’attenzione all’intellectual property. Le aziende giapponesi hanno registrato i propri brevetti in molti paesi, in modo da avere una tecnologia sempre all’avanguardia.

In Italia invece, negli anni scorsi, non è stata promossa la ricerca e l’innovazione tecnologica ma, fin da subito, è stato introdotto un incentivo molto generoso sul kWh prodotto. È mancata una politica industriale specifica, che non ha saputo mettere a frutto la crescita del mercato interno per sostenere lo sviluppo di una filiera nazionale. Sarebbe stato opportuno prevedere, fin da subito, revisioni e riduzioni più marcate degli incentivi, in linea con l’abbattimento atteso per i costi di realizzazioni dei pannelli fotovoltaici e delle installazioni. Gli elevatissimi incentivi hanno comportato una rapida installazione degli impianti (9 GW nel solo 2011), sfruttando tecnologie più costose e meno efficienti e, pertanto, con maggiori costi per il sistema. Solo a partire dal quarto conto energia si è cercato di prevedere un ruolo privilegiato per le soluzioni tecnologiche più innovative.

Questa politica non ha fatto altro che attrarre investitori (anche esteri), spesso interessati non dallo sviluppo tecnologico ma dalla prospettiva di rapidi guadagni resi possibili da incentivi elevatissimi. Così in Italia non si è sviluppata una vera industria fotovoltaica, ma si è assistito a un forte impulso nella sola installazione dei pannelli fotovoltaici, con numeri evidentemente destinati a ridursi a seguito del venire meno dei generosissimi incentivi.

Ora l’Italia dovrebbe cercare di ritagliare un proprio ruolo più duraturo ed “esportabile” nelle tecnologie più innovative, seguendo una strada diversa. Occorrerebbe prima di tutto promuovere la ricerca con opportuni finanziamenti, poi promuovere l’industria in grado di implementare le nuove tecnologie che i risultati della ricerca individuano come promettenti, per esempio tramite agevolazioni o sgravi fiscali o facilitazioni nell’accesso al credito.

Solo alla fine, qualora ancora necessario, occorrerebbe promuovere l’installazione e la diffusione delle nuove tecnologie tramite incentivi sul kWh prodotto.

Lo stesso discorso dovrebbe valere anche per le altre tecnologie con forti potenziali e ancora in fase di sviluppo, con particolare riferimento alle rinnovabili termiche e all’efficienza energetica.

Quali sono, a tuo avviso, i principali limiti dei sistemi di incentivazione adottati finora?

I limiti dei sistemi di incentivazione vanno analizzati in ciascun paese perché essi producono un certo effetto a seconda del sistema in cui vanno a inserirsi.

Tutti gli strumenti incentivanti possono avere vantaggi e svantaggi: la loro efficacia ed efficienza dipende da come sono definiti, da come vengono aggiornati e da come si integrano nel contesto in cui si collocano.
In linea generale, qualunque sia lo strumento incentivante applicato, è di fondamentale importanza la stabilità normativa e il rigore nella gestione e ottemperanza. Per esempio, nel caso di strumenti finalizzati a definire il valore unitario dell’incentivo (feed-in tariff o premium), è importante definire tale valore con adeguato anticipo, aggiornandolo nel tempo affinché sia sempre correlato al costo delle nuove installazioni e promuova la ricerca di soluzioni più avanzate; nel caso invece di strumenti finalizzati a definire la quantità di energia da incentivare (Renewable Portfolio Standards), è fondamentale definire con chiarezza e stabilità le condizioni sottostanti al mercato, da cui dipende il valore unitario dell’incentivo.

Riporto ora alcuni esempi per evidenziare come il medesimo strumento incentivante possa avere, o meno, risultati positivi in base alle modalità di utilizzo.

La promozione del sistema dei Renewable Portfolio Standards ha avuto risultati diversi in Giappone e in California. In Giappone, infatti, tale schema impone un obbligo ai costruttori e sviluppatori di tecnologie, comportando uno stimolo all’innovazione. Al contrario in California questo schema impone un obbligo al gestore di rete, che non è direttamente coinvolto nell’evoluzione tecnologica. Per quanto riguarda le feed-in tariff (o premium), anch’esse hanno un’accezione positiva o negativa a seconda di dove e come sono state implementate. Negli Stati Uniti le feed-in tariff non si sono sviluppate per via di un problema giuridico. Infatti, se vi è una giurisdizione federale sul mercato dell’energia all’ingrosso e una statale sul mercato al dettaglio, ciò comporta problemi poiché le feed-in tariff sono tariffe incentivanti riferite alla quantità di energia prodotta.

In Germania le feed-in tariff sono state ben allineate ai costi di produzione dell’energia elettrica, e accompagnate da importanti programmi di ricerca e sviluppo e da una forte cooperazione tra università e industria, dimostrando così di essere uno strumento molto valido e che ha promosso la forte crescita del settore.

Per quanto riguarda l’Italia, ho già avuto modo di presentare quelle che, secondo me, sono le criticità riscontrate in relazione al settore del fotovoltaico, riportando degli auspici per il futuro.

Il fotovoltaico è considerato come uno dei pilastri della green economy. In che misura questa accezione è fuorviante oppure scarsamente sfruttata?

Il PV è solo una delle tecnologie che consentono l’utilizzo delle fonti rinnovabili. La sua straordinaria crescita in periodi temporali limitati è stata dovuta a politiche incentivanti favorevoli in molti paesi e agli elevati target nazionali di sviluppo di generazione elettrica da fonti “pulite”.

Ma non dobbiamo dimenticare che la “green economy” non riguarda solo il fotovoltaico, per quanto quest’ultimo sia e continui a essere importante. È importante anche l’eolico, nella sua declinazione on-shore e off-shore, la biomassa, la fonte idrica, la geotermia. Tra l’altro, queste ultime tre fonti (tranne alcune tipologie di idroelettrico ad acqua fluente) hanno l’immenso vantaggio di poter essere utilizzate quando servono. Non sono aleatorie e intermittenti come la fonte solare e quella eolica che, quindi devono essere accompagnate da capacità di riserva pronta a produrre quando il vento e il sole non sono più sufficienti o da costosi sistemi di accumulo.

E infine non dimentichiamo che la “green economy” dovrebbe guardare sempre più alle rinnovabili termiche, quali le caldaie a biomassa, i sistemi solari termici, le pompe di calore geotermiche. È in questo settore che esistono i maggiori potenziali di sviluppo e a costi più bassi.

La tua esplorazione delle filiere più innovative sottolinea il ruolo del solare termodinamico per la produzione di elettricità. Quali sono i principali ostacoli allo sviluppo di questa tecnologia, e quale il ruolo che può avere in Italia?

Finora non ho ancora parlato di solare termodinamico perché, forse, è la tecnologia che richiede condizioni più particolari. Infatti, essa necessita di luce diretta e quindi costante irraggiamento. Tale condizione è riscontrabile solo in alcune zone del nostro pianeta, in particolare nelle zone desertiche del Nord Africa, del Sud Ovest degli Stati Uniti, il deserto di Atacama in Cile, e più difficilmente in Europa.

Questa tecnologia presenta tuttavia anche un grande vantaggio perché ben si presta a essere accoppiata a sistemi di accumulo termico. Ciò consente di conservare l’energia, convertendola in energia elettrica quando serve per soddisfare le esigenze del sistema elettrico.

Uno dei sistemi di accumulo più innovativi è quello lanciato dal nobel italiano Carlo Rubbia nel 2000 (Progetto Archimede) che tramite un tubo ricevitore capace di andare a 550 gradi e a un fluido fatto di sali fusi è in grado di assicurare la continuità di produzione elettrica anche nelle ore notturne.

In Italia l’ostacolo maggiore alla diffusione del solare termodinamico è rappresentato dalle condizioni di irraggiamento (favorevoli sono in alcune aree del Sud) e dalla scarsa disponibilità di spazi per accogliere gli impianti, oltre che forse dall’attenzione troppo sbilanciata sul PV.

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