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Upcycling e restyling a cura della redazione
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Upcycling e restyling
a cura della redazione

In questo articolo parliamo di:

La rivincita dell'usato
Le nuove prospettive del primo pilastro dell’economia circolare

P. Luppi A Giuliani 

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Upcycling e restyling sono termini che celano un fenomeno tutt’altro che semplice da analizzare. Chiamarli così in inglese li fa apparire all’ultimo grido nonostante facciano parte, da tempo immemorabile, della nostra tradizione umana. […]

Che cosa significano esattamente le parole upcycling e restyling? Le definizioni date dall’Oxford Dictionary sono le seguenti: “Upcycle Verbo, gerundio o participio presente: upcycling = riuso (di oggetti o materiali scartati) in una modalità che crea un prodotto che ha una qualità o un valore superiore rispetto all’originale.” “Restyle Verbo, gerundio o participio presente: restyling = modificare o rifare conferendo una nuova forma o disegno.” 

Dove sono più in voga queste pratiche? La risposta non è New York, né Parigi, né Milano. Upcycling e restyling sono diffusi soprattutto nell’Africa subsahariana. In quest’area del mondo, infatti (grazie a una dinamica produttiva e di mercato descritta egregiamente nell’insuperato studio Salaula: the World of Secondhand Clothing and Zambia pubblicato da Karen Hansen nel 2000), i grandi flussi di abiti usati di importazione vengono frequentemente riadattati al gusto locale mediante accurati interventi sartoriali, il cui costo di manodopera aggregato è così basso da mantenere i prodotti ristilizzati competitivi rispetto agli abiti nuovi. A volte, come riportato da Occhio del Riciclone nei resoconti delle sue indagini di mercato in Tanzania e Mozambico, sono gli stessi retailer ambulanti dell’usato ad applicare, su richiesta, gli interventi sartoriali. Questi ultimi spesso sono di mera riparazione, ma a volte sono applicati per venire incontro alle esigenze estetiche del cliente. È in questi luoghi che il fenomeno ha un reale peso economico e di mercato. 

Nei paesi “ricchi” e nei quartieri “alti” delle grandi città dei paesi emergenti la logica è completamente diversa. Upcycling e restyling si applicano a vestiti, borse e mobilia in base a interventi stilistici e di design di alto livello, il cui prezzo è necessariamente alto. Le compagnie che immettono sul mercato questo genere di offerta sono pochissime e, nonostante producano un apparente effetto di “tendenza” dato il grande interesse mediatico che riescono a suscitare, a oggi non rappresentano un fenomeno economico rilevante e neanche tendenziale. Ed essendo il volume di pezzi reimmesso in circolazione molto ridotto, anche i risultati ecologici sono irrilevanti. 

A posizionarsi e consolidarsi su questo minuscolo mercato sono solo i brand che, grazie all’alta qualità dei prodotti, riescono a raggiungere un pubblico raffinato e in grado di pagare prezzi sostenuti. Il mercato forse cambierà la sua dinamica quando i grandi brand decideranno di fare restyling, upcycling e rebranding su vasta scala per venire incontro alla sensibilità ecologista della Generazione Z, e l’impulso perché questo avvenga potrebbe arrivare dai regimi di responsabilità estesa del produttore che li obbligheranno a farsi carico del recupero dei loro prodotti nella fase post-consumo. 

Diesel, la nota marca italiana di jeans, ha anticipato i tempi lanciando a febbraio 2020 una linea completa di prodotti basati sul concetto di upcycling sotto lo pseudonimo Diesel Upcycling For (significativamente assonante con il pay off aziendale For Successful Living). “La collezione Upcycling,” afferma una nota sul sito dell’azienda “includeva un logo che rivisitava in modo astratto l’icona del riciclaggio universalmente riconosciuta e il logo dell’altro marchio/designer invitato da Diesel, per mostrare come le menti creative sono in grado di ridare valore ai materiali a nostra disposizione. Il primo elemento della serie Upcycling è stato creato da scorte invendute, archivi e prototipi Diesel, interamente rilavorati per acquisire una nuova vita con un tocco 55DSL. Il risultato è stato una collezione in edizione limitata di 5.055 pezzi realizzati con risorse limitate”. 

Che cosa accadrà con il progetto di upcycling Diesel e con analoghe iniziative intraprese dai grandi brand ancora non lo sappiamo. Ma ciò di cui siamo sicuri è che nei paesi “ricchi” chiunque porti avanti iniziative di upcycling si scontra con gli stessi nodi operativi. Per mantenere i costi a livello di mercato c’è bisogno di produrre in serie, ma perché ciò sia sostenibile occorre ridurre i costi di produzione facendo economie di scala, cosa possibile solo quando il flusso della materia prima è sufficientemente omogeneo. E gli scarti, purtroppo, difficilmente lo sono. Freitag, Cyclus e Belt Bag, marchi con presenza quasi ventennale sul mercato, non a caso si sono assestati su prodotti leader confezionati a partire da scarti dei quali riescono ad approvvigionarsi in serie (rispettivamente teloni di camion, camere d’aria e cinture di sicurezza). Ma anche in questi casi l’omogeneità assoluta non esiste, e per avere prodotti di vera qualità è necessario avere in catena di produzione uno stilista che sia in grado di applicare soluzioni creative e funzionali. 

Tra i pionieri dell’upcycling e del restyling in Italia c’è la cooperativa Occhio del Riciclone, nata a Roma nel 2006 come spin-off dell’omonima associazione. Sevla Sejdic, una delle fondatrici, ricorda con nostalgia le prime fasi del lavoro della cooperativa, quando assieme al marito Vejzil fabbricava originali collane, ritagliando circoli da cappotti di lana rotti, ed eleganti puff usando cerchioni e cinture di sicurezza. Le stiliste Aurelia Laurenti e Francesca Patania, anche loro socie della cooperativa, creavano vestiti di ogni genere a partire da sfridi e scarti tessili, e la cooperativa veniva chiamata a fare sfilate di moda in eventi fashion a Milano, Parigi, Londra e Berlino. A Roma, oltre al laboratorio, la cooperativa gestiva anche due negozi in proprio. 

“Di quell’incredibile esperienza per me è rimasto solo un bel ricordo”, dice Sevla con gli occhi umidi. “A Roma, e forse in tutta Italia, siamo stati i primi ad attivare un’impresa mista dove italiani e rom, in modo paritario, si sono uniti per rincorrere un sogno comune. A inibire lo sviluppo di questo progetto è stata la mancanza di capitali: non siamo riusciti a crescere e a investire nel momento in cui il mercato cominciava ad aprirsi.” 

Nel 2017, quando Sevla, Vejzil e Aurelia avevano già lasciato la cooperativa da diversi anni e solo Francesca Patania continuava ostinatamente a produrre le borse Belt Bag, le sorti del progetto vennero improvvisamente risollevate da un’offerta di Humana People to People Italia, che propose a Francesca di spostare il suo atelier a Pregnana Milanese, a lato di un impianto dove Humana convoglia e seleziona milioni di abiti usati. Grazie a questa svolta oggi la linea di produzione Belt Bag di Occhio del Riciclone gode nuovamente di buona salute. […]

Secondo Lorenzo De Rossi, area manager di Mercatopoli, gli artigiani che decidono di affacciarsi oggi sulla scena dell’upcycling e del restyling potrebbero trovare un mercato più ricettivo rispetto a 15 o 20 anni fa. “Abbiamo notato, con frequenza sempre maggiore, artigiani del restyling recarsi nei nostri negozi per comprare mobili usati e ridipingerli in stile shabby. Oppure comprano dei vecchi dischi in vinile e li fanno diventare orologi a muro. Il fenomeno per ora è marginale ma potrebbe crescere.” 

Questo è il modus operandi di Rita Cardurani, decoratrice di arredi e complementi di arredo, che nel 2015 ha avviato il progetto ReQ e che tuttora, mentre scriviamo, a sette anni di distanza riesce non solo a guadagnare quel che le basta ma anche a impiegare un’altra persona. Nei negozi dell’usato Rita seleziona mobili, arredi e altri oggetti che abbiano una forma compatibile con i suoi gusti e le sue idee. Il colore e il livello superficiale di deterioramento per lei non sono importanti perché, prima di decorare ogni oggetto, farà eseguire in falegnameria un accurato restauro. Uno dei punti forti del negozio di ReQ, che si trova a Verona, tra un parrucchiere di lusso e un’osteria gourmet di fronte a Ponte Nuovo, sono gli abbinamenti cromatici tra oggetti e arredi. I pezzi esposti, che sono tutti pezzi unici, se comprati in blocco possono risolvere l’arredamento di ambienti domestici, di locali o di hotel, conferendo agli spazi un’estetica che può essere, a seconda dei gusti, rurale, futurista, ricercata o retrò. Damiano De Battisti, che assiste Rita nello sviluppo strategico della sua attività, ha annunciato che il modello ReQ verrà riprodotto in altre città. “L’Italia è piena di donne brillanti, giovani e meno giovani, che hanno perso il lavoro a causa della pandemia e che non vedono l’ora di mettere in campo le loro capacità e la loro creatività in attività imprenditoriali che non richiedano forti investimenti iniziali.” 

 

Estratto da P. Luppi, A. Giuliani, La rivincita dell’usato, Edizioni Ambiente 2022