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In questo numero:

Dinosauri & scimmie di Marco Moro
Il capitalismo affonda. E noi con lui di Annamaria Duello
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Dinosauri & scimmie
di Marco Moro


“Finalmente a casa! Speriamo che le scimmie non abbiano toccato niente…”. E invece, mentre i dinosauri erano in vacanza in giro per il cosmo le scimmie – che adesso si bullano di essere addirittura sapiens – hanno toccato dappertutto. E qualche guaio devono averlo fatto se “permacrisi” e “policrisi” sono diventati i neologismi del momento. Niente male come risultato.

 

Si può dibattere – e qualcuno lo fa – sul fatto che si tratti di catastrofismo o di semplice dato di realtà. Oppure, come ha fatto di recente Paul Hawken, sostenere che è inutile parlare di fenomeni che sarebbero al di fuori della nostra capacità di comprensione. Sostenere, per esempio, che il clima non esiste, come ha fatto proprio l’autore di Capitalismo naturale e di Moltitudine inarrestabile. Ma la provocazione di Hawken è voluta per spingere a concentrarsi sulle soluzioni, su che cosa fare. E lasciar perdere lo stillicidio di aggiornamenti su temperature medie globali, emissioni climalteranti, acidificazione degli oceani, deforestazione… Troppa roba? Per noi in casa editrice è una specie di dubbio permanente che fino a ora abbiamo affrontato continuando a fare entrambe le cose: documentare tanto i problemi quanto le soluzioni. Una Terra per tutti, di cui è appena uscita una recensione a firma di Riccardo Luna (su la Repubblica, 1 marzo 2023), è un libro che da questo punto di vista ci rappresenta in pieno: ultradocumentato (in background, altrimenti il libro sarebbe un colosso) sui problemi, pragmatico nell’indicare soluzioni. Che poi siano facili da attuare è un altro paio di maniche, ma il punto è che sono tutte possibili, possibili adesso. 

Quindi, se abbiamo le soluzioni ha senso continuare a scavare nei problemi? Ha senso continuare a mettere assieme i tasselli che servono (secondo noi eh, che di certezze ne abbiamo poche) a dare forma a un diverso paradigma culturale? Continuare a mettere le mani su nuovi aspetti, su ulteriori facce di una complessità in cui si rischia di perdere il filo, noi e chi ci legge. O addirittura girarsi indietro per cercare le radici, il percorso di pensieri le cui tracce riemergono oggi in formulazioni più o meno nuove, indagando ancora una volta con uno sguardo anche ai lati, ai confini di quello che può sembrare il più legittimo ambito del “pensiero ambientale”. 

 

Nel frattempo, senza andare troppo a ritroso nel tempo, si può riportare l’attenzione su libri che davvero hanno fatto qualcosa: Prosperità senza crescita, di Tim Jackson, che recentemente è stato definito come “una pietra miliare nella critica al capitalismo moderno”, o L’economia della ciambella. E rivivere la sensazione (mix di ammirazione e invidia?) provata per quello scatto che nella testa di Kate Raworth ha fatto sì che dopo decenni di studi e dibattiti sui limiti ambientali allo sviluppo le venisse in mente che forse era il caso di occuparsi anche dei limiti sociali allo sviluppo, e di provare a integrare tutto questo in un modello. 

Funziona? Sembrerebbe, visto che città come Amsterdam e altre (Copenaghen, Bruxelles, Barcellona…) lo hanno adottato come strumento sui cui costruire una propria visione strategica orientata al futuro.

E sapete dire chi scriveva “Sfruttando il mercato mondiale la borghesia ha reso cosmopoliti la produzione e il consumo di tutti i paesi. Con gran dispiacere dei reazionari ha tolto all’industria la base nazionale. Le industrie nazionali sono state e vengono, di giorno in giorno, smantellate. […] subentra un traffico universale, una universale dipendenza delle nazioni l’una dall’altra. E come nella produzione materiale, così anche in quella culturale”?

Un indizio, qui si finisce parecchio più indietro nel tempo, siamo nel 1848 e l’autore si chiamava Karl. Non sembra oggi?

 

Vignetta di Star Jelly