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In questo numero:

Materia ed energia al centro di Marco Moro
Gestire i rifiuti tra legge e tecnica: la decima edizione di Annamaria Duello
Il biowaste è una risorsa circolare di Giorgio Kaldor
Riciclo organico: una grande opportunità di Paola Fraschini
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Il biowaste è una risorsa circolare
Intervista a Massimo Centemero
di Giorgio Kaldor

In questo articolo parliamo di:

La filiera del biowaste per lo sviluppo sostenibile
Organic Biorecycling 2023

a cura di Massimo Centemero

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Scarti alimentari, potature del verde urbano e reflui non sono solo rifiuti, ma materia ricca di sostanze organiche che è fondamentale riutilizzare. In questo, nel nostro paese, il Consorzio italiano compostatori è un’eccellenza. Ne parliamo con Massimo Centemero, agronomo, direttore generale Cic.

 

[…]

 

Il Consorzio che dirige è attivo dal 1992. Qual è stata la vostra visione?
“Fin dalla sua fondazione, oltre 30 anni fa, la linea tenuta dal nostro consorzio è sempre stata la stessa. Abbiamo puntato sul rapporto tra agricoltura e trasformazione degli scarti, ma abbiamo anche ripreso i collegamenti tra città e campagna. Abbiamo avviato e intensificato le nostre attività in un momento in cui in Italia ci si iniziava a chiedere dove collocare tutti i vari scarti organici che si venivano a creare. Dai reflui biologici come i fanghi di depurazione agli scarti dell’agroindustria e della ristorazione collettiva, passando dalle potature del verde urbano pubblico e privato, avevamo a disposizione delle vere e proprie risorse, un ‘capitale naturale’ destinato allo spreco. In quegli anni, poi, cominciavano le prime raccolte differenziate di carta, plastica e vetro e ci accorgemmo che dentro i bidoni della spazzatura rimaneva un rifiuto umido che potevamo recuperare e trasformare in fertilizzante, il compost. L’umido, con il passare degli anni, è diventata la frazione preponderante. Era già allora la frazione più abbondante, ma era anche quello più difficile da raccogliere, anche perché mancava una normativa nazionale a riguardo. Dal 1997 in poi, con l’entrata in vigore del decreto Ronchi, è iniziata invece questa cavalcata impetuosa che ha portato di fatto ad avere in Italia, ad oggi, più di 50 milioni di cittadini che fanno la raccolta dell’umido. Siamo in 60 milioni, quindi diciamo che la torta è quasi cucinata…”

Se 50 milioni di italiani già differenziano l’umido nelle loro abitazioni, dove si può guardare per intercettare nuove quote?
“L’umido ha tre diverse provenienze. La più cospicua è quella domestica. Al secondo posto troviamo invece la ristorazione collettiva e quindi mense, ristoranti, asili, hotel. Insomma, il mondo Horeca (sigla di hotellerie-restaurant-café, nda). La terza origine, l’agroindustria, è quella che secondo noi ha ancora margini di crescita non essendo tutta ‘coperta’ da trattamento. Tutte le filiere agroalimentari generano degli scarti organici, siano essi sottoprodotti o rifiuti. Invece, per quanto riguarda l’umido l’Italia ha superato la soglia dei 100 chili per abitante per anno raccolti in modo differenziato. In regioni quali il Veneto e Lombardia in un anno si producono mediamente 70-90 chili di umido per abitante, mentre in città del sud questa quantità quasi raddoppia, passando a 120-150 chili di umido per abitante. Al Sud sprecano di più? No, è solo una questione di costume. Al Nord abitualmente i cittadini consumano pasti preconfezionati. Se si acquista una porzione di insalata al supermercato o direttamente dei cuori di carciofo, non si generano scarti solo perché li ha già prodotti la filiera agroindustriale nelle fasi di lavorazione. Sarà importante lavorare per intercettare e destinare a circolarità anche quella quota agroindustriale.”

Quindi, riassumendo, che tipo di prodotti escono dai vostri impianti? 
“Fino a una quindicina di anni fa esisteva solo il classico compostaggio, cioè la trasformazione aerobica dello scarto a matrice organica (reflui, agroindustria, ristoranti, verde, umido) in compost. Ora si è aggiunto – e non sostituito ­– un altro tipo di trattamento. Parlo della digestione anaerobica. Quindi adesso noi abbiamo due linee produttive: la prima è il classico compostaggio che produce solo compost, la seconda produce sia compost sia biogas che a sua volta può diventare biometano. Il compost è un ammendante per i suoli e in molti casi può essere considerato un semilavorato che può essere impiegato come materiale-base per la creazione di altri fertilizzanti come, per esempio, terricci destinati al florovivaismo, alla paesaggistica o come concimi organici per l'orto e il giardino. Il secondo prodotto (meglio definirlo un vettore energetico) è il biogas che può invece essere trasformato in energia elettrica o, ed è questa la nuova tendenza, in biometano. E in questo momento di crisi energetica capiamo bene cosa significa avere un metano autoprodotto. Le potenzialità complessive del nostro settore, se trasformassimo in biometano tutti i rifiuti che entrano nei nostri impianti, sono intorno al miliardo di metri cubi annui. Poco o tanto che siano, possono rientrare nel mix energetico italiano. Dal biogas, oltre al biometano, si può ottenere anche CO2 destinata a scopi alimentari (bevande gassate) e non alimentari (conservazione ortofrutta, ghiaccio secco ecc.). Già alcune aziende Cic producono compost, biometano e CO2.” 

A proposito di C02, come Cic dichiarate che sarebbero 65 milioni le tonnellate di frazione organica reimmessa in circolo. Si può parlare di un vero e proprio meccanismo di sequestro di CO2?
“Quei 65 milioni di tonnellate equivalgono a tutto quello che fino a oggi noi siamo riusciti a recuperare e rappresentano i quantitativi che non sono finiti in discarica. Dal punto di vista degli impatti, tenendo conto che l’umido ha un peso specifico elevato, abbiamo quindi evitato di riempire le discariche italiane con un volume di rifiuti che stimiamo in circa 50-60 milioni di metri cubi. Invece, dal punto di vista della CO2, noi sappiamo che rispetto a quanto accadrebbe destinando il biowaste alla discarica, ogni anno evitiamo che 4,4 milioni di tonnellate di CO2 equivalente vengano disperse in atmosfera. Come? La frazione organica è ricca di carbonio, questo carbonio se portato in discarica genererebbe metano, un gas climalterante decine di volte più potente della CO2. Per questo noi spingiamo per introdurre i carbon credit in questa filiera. L’Italia sia per le esperienze pregresse sia per le prospettive future può essere considerato un paese faro in Europa. Nel nostro settore il sequestro di C02 è un risultato netto, la cui ‘impronta di C’, il cosiddetto carbon footprint, è calcolabile. Chiaramente non tutto il carbonio che restituiamo al terreno è destinato al carbon sink, ovvero a rimanere permanentemente nel suolo. Ma è altrettanto vero che la sostanza organica del compost rappresenta materia viva, quindi non refrattaria e capace di partecipare ai cicli vitali della terra.”

Quanto è importante per la vostra filiera il monitoraggio della qualità del rifiuto umido che vi viene conferito? Per esempio, alle volte ci sono dei rifiuti (pannolini, lettiere per gatti, …) che vengono gettati nell’umido senza però essere compostabili.
“Nel 2005 abbiamo ideato per il compost il Marchio Qualità Cic, che è un marchio collettivo di impresa e volontario. Siamo partiti con sei aziende, ora sono 55. Noi facciamo campionamenti mensili e facciamo analizzare a laboratori esterni per garantire terzialità. Nel tempo abbiamo ottenuto ottimi risultati. Era un marchio di prodotto (il compost) ed ora si sta trasformando in un marchio di filiera. Andiamo quindi anche a controllare la qualità dei rifiuti organici trattati. Nel nostro settore, del resto, il monitoraggio della qualità è fondamentale: nel caso delle raccolte differenziate il nostro compito è determinare la purezza merceologica del rifiuto umido. E in quindici anni di attività possiamo dire sia che l'umido ha sempre avuto una purezza merceologica elevata, almeno del 95%, sia che tale ottima qualità è stata determinata da due misure che fanno dell’Italia un esempio, anche all’estero: la raccolta porta a porta e l’introduzione – già nel 1993 – dei sacchetti compostabili certificati. A onor del vero devo rimarcare che ultimamente la qualità delle raccolte sta peggiorando. Si investe troppo poco in comunicazione e non si tiene conto delle esigenze del riciclatore, che è sempre l’anello debole della catena. Per esempio, non si tiene conto che alcuni materiali non facilitano i processi di trasformazione. Non parlo delle bioplastiche, quelle, praticamente tutte flessibili, le abbiamo sempre gestite. Parlo per esempio delle lettiere minerali per gatti o della cenere di legna, che sono entrambi materiali inerti; per le prime si auspica che aumentino quelle in materiale biologico, per le seconde si spera che siano presenti nell’umido in quantitativi limitati. Se si parla invece di pannolini, argomento poco trattato, si auspica un intervento governativo di indirizzo; stiamo parlando di pannolini esausti, ricchi di materia organica, che per i nostri impianti può essere preziosa ma che dovrebbero garantire la compostabilità di tutte le componenti. Il vero ostacolo al miglioramento della qualità della frazione umida sta nella presenza di impurità che, per negligenza o per errore, sono gettati nell’umido. Una maggior attenzione alla fase di raccolta e una adeguata comunicazione al cittadino potrebbe davvero invertire la tendenza incrementando la qualità che, per quanto sopra detto, garantirebbe una maggior resa sia in compost che in biometano.”


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Articolo tratto da Materia Rinnovabile, n. 41, Edizioni Ambiente, settembre 2022