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In questo numero:

Comunicazione, etica e politica di Marco Moro
Cambiamenti climatici e migrazioni a cura della redazione
AR5: completo, autorevole, prudente di Diego Tavazzi
Sono così piccoli, eppure... a cura della redazione
Negazionismo e disinformazione sul climate change di Paola Fraschini
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Sono così piccoli, eppure...
di Dag O. Hessen
a cura della redazione

In questo articolo parliamo di:
                                                                                                                                                                                                                                                                                    2052
Scenari globali per i prossimi quarant'anni

di Jorgen Randers
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Di solito, quando si pensa al cambiamento climatico, le prime cose che vengono in mente sono, con ogni probabilità, anidride carbonica, emissioni dagli impianti e traffico automobilistico. In realtà, la questione è molto più complessa, e investe ogni settore della biosfera di cui facciamo parte. Un esempio è quello che ci viene raccontato da Dag O. Hessen (norvegese, professore di biologia. Ha pubblicato un gran numero di paper scientifici sull’evoluzione e l’ecologia, comprese opere sul cambiamento climatico), in una storia che ha un protagonista inaspettato.

 

I protagonisti di questa storia sono piccoli, di solito di pochi millimetri appena. In effetti, il Calanus planctonico (imparentato con granchi e aragoste) ci ricorda che i grandi attori non hanno sempre grandi dimensioni. Nei mari artici, il Calanus è però grande per quantità e gioca un ruolo vitale. È compreso nel nobile gruppo di organismi che meritano senz’ombra di dubbio il titolo di specie chiave. E capire cosa potrebbe succedere al Calanus (il genere Calanus è un genere di crostacei copepodi appartenenti all’ordine dei Calanoida; si tratta di animali acquatici di 1-2 millimetri di lunghezza dei quali ne esistono circa 1.800 specie. Sono organismi molto importanti del plancton marino, di cui si nutrono tante altre specie di animali, ndC) mentre le acque dell’Artico si riscaldano ci dice molto del futuro della vita nei mari alle alte latitudini. [...]

 

Verosimilmente entro il 2052 la temperatura del Mare del Nord sarà in media 1,5 °C più alta di oggi. L’acqua di superficie in estate potrebbe essere più calda di 2 °C. Lo stesso trend si estenderà fino all’Oceano Artico, che entro il 2052 sarà completamente privo di ghiacci durante l’estate, con temperature estive più alte a cui adattarsi. Allora perché il Calanus – i nostri copepodi ghiotti di fitoplancton – e i suoi compagni soffriranno quando le fredde acque settentrionali si riscalderanno arrivando a temperature apparentemente più piacevoli? Le temperature elevate non vanno di pari passo con un’elevata produttività? Non necessariamente. Prima di tutto, alcune specie semplicemente danno il meglio a basse temperature, perché dal punto di vista evolutivo si sono adattate a esse. In secondo luogo, le temperature elevate hanno sorprendenti effetti collaterali sul fitoplancton. Ci aspettiamo infatti che la produttività e la dimensione media del fitoplancton diminuiranno notevolmente quando l’oceano si riscalderà. Questo avviene almeno in parte perché l’acqua di superficie, povera di nutrienti, si riscalderà più rapidamente e riuscirà a mischiarsi meno facilmente con le acque profonde, ricche di nutrienti, che contengono fitoplancton. Così, temperature più alte significano meno cibo per il Calanus – perché ci sarà meno fitoplancton nelle acque di superficie dove i copepodi si nutrono. E significano anche cibo più piccolo, in parte perché le specie più piccole sopportano meglio di quelle grandi una forte riduzione di nutrienti, ma anche perché a temperature elevate le cellule tendono a diventare più piccole. Il Calanus è piccolo, ma le alghe lo sono ancora di più, e alghe più piccole significano bocconi più striminziti per il Calanus.

Elemento forse ancora peggiore, entro il 2052 queste acque artiche sperimenteranno anche un calo di pH che da un livello stabile intorno all’8,2 arriverà al 7,9. Non è un cambiamento di poco conto. Infatti crostacei come il Calanus e altri organismi calcificanti, piante e animali, inizieranno a soffrire perché faranno più fatica a costruire i loro esoscheletri.

 

Ma non diventiamo troppo calanocentrici. Entro il 2052 il riscaldamento dell’Artico colpirà l’intero sistema con effetti a cascata. Compariranno nuove specie. Non solo nuove specie di copepodi e alghe, ma anche nuove specie di pesci. Merluzzi, sgombri e aringhe che tipicamente si trovano qui, si sposteranno a nord. Dal sud arriverà un ampio gruppo di flora e fauna dei fondali, che in parte rimpiazzerà i vecchi abitanti. Alcuni in meglio, presumibilmente, ma molti in peggio. Meduse di vari tipi prolifereranno a spese dei pesci. E stavo per dimenticare gli uccelli. Probabilmente non vedrete gazze marine e pulcinelle di mare covare sulla costa occidentale della Norvegia. Entro il 2052 saranno migrati verso aree più settentrionali. Forse qualcuno si aspettava che con il ritiro dei ghiacci nel mare polare si sarebbero aperte nuove aree per l’estrazione di petrolio e gas e che la produttività marina sarebbe aumentata. Bene, ho paura che questa idea sia un po’ ingenua. Per prima cosa, gli oceani molto profondi non sono così produttivi come le acque più basse e le aree di risalita costiere. In secondo luogo, scomparirà il peculiare ecosistema subglaciale, che è una componente fondamentale dell’ecosistema marino dell’alto Artico. Attualmente, durante la primavera polare sotto i banchi di ghiaccio alla deriva si trovano dei tappeti verdi. Sono le alghe glaciali, ricche di acidi grassi polinsaturi molto nutrienti. I simili del nostro Calanus pianificano il loro picco riproduttivo per pascolare in queste praterie subglaciali. Ma quando il ghiaccio inizierà a fondersi in anticipo nell’arco dell’anno, ci sarà una sempre maggiore discrepanza tra i periodi di fioritura e gli sforzi riproduttivi del nostro Calanus. E la scarsità di Calanus significa scarsità di un cibo chiave per i pesci – che colpirà uccelli marini, foche, orsi polari e molti altri. Ancora un effetto a cascata. Entro il 2052 saranno rimasti solo dei resti di questa notevole rete alimentare.

 

Ma per la seconda metà del XXI secolo ci aspettano altre novità. L’ulteriore fusione della copertura di ghiaccio della Groenlandia causerà parecchi effetti spiacevoli. La Corrente del Golfo è in ampia parte guidata dal gradiente salino causato dalla differenza di densità tra acque dolci e acque più salate. Se dopo il 2052 il deflusso di acqua dolce interromperà questa circolazione, direi: “Non avete ancora visto niente”... continua a leggere su 2052, capitolo 5