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In questo numero:

Verso la materia rinnovabile a cura della redazione
Crescita, sostenibilità e bioeconomia di Christian Patermann
Cambiare il rapporto tra l’economia, il territorio e le persone di Catia Bastioli
Il triplice vantaggio della bioeconomia di Antonio Di Giulio
Il ritorno al mare del Portogallo di Ilaria Nardello
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Verso la materia rinnovabile
a cura della redazione


"Materia Rinnovabile" è la proposta di un tavolo virtuale di incontro. Con questa rivista vogliamo rappresentare quella parte della società e dell’economia internazionale, più significativa di quanto risulti dai media, che ha dimostrato di essere pronta a un cambiamento che riteniamo ineludibile: sono decine di milioni di persone che hanno modificato il proprio stile di vita imponendo una nuova attenzione alla salute e all’ambiente; sono le aziende che hanno avuto la capacità e il coraggio di innovare per restare competitive; sono le università e i centri di ricerca che hanno saputo orientare per tempo le proprie attività verso gli obiettivi più urgenti dell’innovazione; sono le organizzazioni della società civile che presidiano il terreno della politica intesa come capacità di intervento a difesa degli interessi comuni. Per allestire questo luogo d’incontro non intendiamo basarci su un modello già definito nei dettagli, ma su una scala di priorità basata sui limiti fisici del pianeta e un perimetro di analisi che accoglie le visioni più innovative dell’economia e della società: bioeconomy, green economy, circular economy, sharing economy, blue economy. Inoltre, di fronte alla profondità del mutamento imposto da ciò che viene riduttivamente chiamato “crisi”, è necessario ragionare e intervenire contemporaneamente su fronti diversi: dall’economia all’ambiente, dalla gestione delle risorse alle soluzioni per migliorare la coesione sociale. La sfida da affrontare e la composizione di un nuovo e più ampio sistema di alleanze che parta da interessi diffusi e bisogni reali. Creare più lavoro, più sicurezza (ambientale e sociale),più benessere, più stabilità. È un cammino tutto da costruire, incerto nei tempi e nei modi.
Per individuare il percorso, si può partire dalla lezione degli anni ’70. Dopo gli shock petroliferi che hanno fatto vacillare la sicurezza energetica basata sulla progressiva espansione dei combustibili fossili, si e affacciato il concetto di energia rinnovabile. Ci sono voluti quarant’anni per dare solidità a quella prospettiva ma ora, sia pure in mezzo a molte contraddizioni ed esitazioni, le proiezioni dell’International Energy Agency non lasciano dubbi: le fonti rinnovabili conquisteranno il primato in uno spazio di tempo minore di quello trascorso dalla crisi energetica del 1973 a oggi.
Sul primo pilastro dunque la direzione è ormai chiara: la marcia verso l’energia rinnovabile può solo essere rallentata, ma non invertita. È perciò arrivato il momento di aggiungere il secondo pilastro: la materia rinnovabile. È un salto concettuale profondo che implica un capovolgimento del punto di vista dominante. Fino a oggi la produzione industriale ha creato un flusso unilaterale di materia, trasformando una parte di natura in miniera e un’altra in discarica, liquidando inquinamento e degrado ambientale come un inevitabile danno collaterale. L’approccio della materia rinnovabile considera invece il territorio come la risorsa chiave – un patrimonio che e all’origine di tutte le valorizzazioni possibili e del quale e possibile usare intelligentemente la rendita – e vede i materiali coinvolti nella produzione come fossero un flusso continuo, nel quale le singole merci non sono altro che fasi transitorie attraverso le quali passa la materia. Questo salto concettuale richiede un cambiamento nel linguaggio. Termini come “materia vergine”, “materia prima”, “materia prima seconda”, “scarti”, “prodotti e sottoprodotti” presuppongono una scala di valori in cui la materia scende progressivamente di livello degradandosi (da materia vergine a materia prima, da materia prima a materia seconda, e così via). Il concetto di materia rinnovabile fa saltare questa vecchia gerarchia […]

Ciò che vogliamo documentare attraverso le idee e le esperienze che la rivista ospiterà è una rivoluzione radicale del modo di pensare il ciclo produttivo. Una rivoluzione che non può più attendere perché nel nuovo millennio il vecchio sistema produttivo ha perso le sue basi materiali. I prezzi delle commodities (le materie prime di base) continuano a crescere e il deficit di disponibilità toglie certezze al sistema produttivo. In Europa la disoccupazione ha raggiunto livelli tali da costituire un serio allarme sociale. La crisi climatica rappresenta una sfida al buon senso, con la comunità scientifica che segnala il grave rischio di catastrofe derivante dall’aumento dei gas serra, le emissioni di CO2 che continuano a salire e il sistema politico che non riesce a trovare una risposta globale. In questo contesto si aprono nuove possibilità che richiedono anche un ripensamento del rapporto tra globale e locale, dove il rapporto con il territorio assume una importanza sempre più determinante. Mentre fino a oggi poche industrie hanno determinato le regole delle produzioni e della crescita d’ora in poi saranno le aziende più legate al territorio ad avere la possibilità di dimostrare al mondo produttivo quanto può essere efficiente il “pensare sistemico” in ambiti geografici più ristretti. Un approccio che parte dal basso come risposta concreta ai rischi di una globalizzazione ormai fuori controllo economico e ambientale… > segue [per leggere l’intero articolo bisogna registrarsi sul sito]