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Il richiamo dell’outdoor di Marco Moro
Anche nel 2020, numeri da brivido per le ecomafie di Diego Tavazzi
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma* di Paola Fraschini
Negoziati sul clima di Arianna Campanile
Greenwashing: se lo conosci... lo eviti di Diego Tavazzi
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Anche nel 2020, numeri da brivido per le ecomafie
Intervista ad Antonio Pergolizzi
di Diego Tavazzi

In questo articolo parliamo di:

Ecomafia 2020

Le storie e i numeri della criminalità ambientale

a cura di Osservatorio nazionale ambiente e legalità

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Se fosse un’azienda, con i suoi 20 miliardi e passa di fatturato l’ecomafia sarebbe probabilmente nella top-ten delle società italiane. Neanche la pandemia ha infatti rallentato i traffici criminali a danno dell’ambiente e della salute dei cittadini, e gli ecomafiosi continuano a imperversare nei cicli del cemento e in quello dei rifiuti, oltre che nell’agroalimentare e nei reati contro la biodiversità. Antonio Pergolizzi, che cura da anni il rapporto Ecomafia, ci aggiorna sulle ultime dinamiche delle attività ecomafiose.

 

La pandemia da Sars-Cov-2 continua a imporre al nostro paese costi sanitari ed economici enormi. Le ecomafie sembrano però essere in qualche modo immuni, e anche l’anno passato hanno macinato profitti da record, soprattutto nel ciclo illegale del cemento. Come ci sono riuscite? E, dopo un anno di contrazione generale dell’economia, che segnali arrivano dalle forze dell’ordine impegnate nel contrasto delle attività ecomafiose?

“Le mafie, insieme alla rete di fiancheggiatori e veri e propri alleati, si muovono dove trovano spazio. Si muovono dove ci sono criticità, fallimenti di mercato, incapacità, scarsa attenzione generale. Per questo sono formidabili durante le emergenze, anche quando non sono loro a generarle, come succede spesso nel campo dei rifiuti (non solo nella cosiddetta Terra dei Fuochi), perché non dovendo rispettare alcuna regola e potendo contare su disponibilità illimitate di denaro e relazioni sociali non trovano concorrenti. Sono le prime a farsi avanti e a sbaragliare ogni competitore. Solo come extrema ratio usano la violenza, che, per paradosso, è sintomo di debolezza dovuta a condizioni particolari: di solito non serve. Basti pensare che una delle più recenti indagini dell’antimafia di Catanzaro ha sequestrato al clan locale beni per un valore superiore a 250 milioni di euro: avere dotazioni del genere fa capire quanto il loro potere economico sia tremendo. Nel ciclo del cemento i clan investono e riciclano denaro sporco, creando consenso sociale grazie alla manodopera che riescono a generare (e soprattutto a controllare) e alle relazioni politiche di cui si avvantaggiano. Costruiscono sia nel mercato legale sia in quello illegale, per loro fa poca differenza. Male che vada è il loro modo per piantare la propria bandiera per dire a tutti: eccoci!

Le forze dell’ordine ormai si muovono con sicurezza e capacità investigative, potendo contare anche su un apparato normativo all’avanguardia, sia nel contrasto ai crimini ambientali sia nelle degenerazioni ecomafiose. Il problema è più a monte, ossia a come si muovono i circuiti ufficiali e con quali livelli di trasparenza ed efficienza: purtroppo ancora molto deve essere fatto. Se il malaffare riesce a diventare più efficiente dei sistemi ufficiali e conquistare persino il mercato legale la frittata è fatta. Provando a capire i meccanismi (economici e tecnico-gestionali), anche quelli più profondi, prima ancora che si apra il discrimine tra legale è illegale, cioè a prescindere dal quadro di regolazione.”

 

Quali sono le ragioni che contribuiscono a rendere così diffusa la corruzione in materia ambientale? 

“La corruzione è ricorrente in campo ambientale perché – come racconto nel mio saggio Emergenza green corruption, 2018 – è lo stesso approccio del ‘comanda e controlla’, che delega alla pubblica amministrazione il compito di applicarne il principio e di regolare i processi autorizzativi e dei controlli, a essere troppo esposto alle pratiche corruttive. Più le norme sono pedanti e macchinose, più alti sono i costi di transazione, quindi più alta la probabilità della presenza corruttiva. Per esempio, se le pratiche autorizzative per progetti impiantistici valgono milioni di euro, e considerato che i margini di discrezionalità sono alti e le zone grigie infinite, è chiaro che tutto ciò spinge verso la corruzione, strumento indispensabile per piegare gli interessi collettivi a quelli particolari.”

 

I reati contro l’ambiente nel settore agroalimentare sono diffusi lungo l’intera filiera, dal campo fino (praticamente) alla tavola. Puoi illustrarci quali sono i passaggi più critici? 

“Il Made in Italy agroalimentare è uno dei biglietti da visita del nostro paese nel mondo, quindi è alto l’interesse a prenderne parte. Occorre considerare che le mafie sono da sempre radicate nei propri territori, a cominciare dal controllo delle terre e del loro sfruttamento. Sono nate da lì e continuano a svolgere un ruolo chiave nella produzione, nel trasporto e commercializzazione, controllando spesso anche la manodopera con situazioni di vero e proprio caporalato. L’interesse verso questo settore si spinge fino a controllare i mercati ortofrutticoli più importanti, come dimostrano con insistenza le indagini antimafia. Sempre più spesso tra i beni confiscati ai sodalizi mafiosi compaiono frantoi, aziende agricole e vitivinicole e di trasformazione.”

 

Nella premessa a Ecomafia viene citato un rapporto dell’Interpol pubblicato ad aprile dell’anno scorso, in cui si legge che “è piuttosto sicuro che le organizzazioni criminali siano coinvolte nel traffico, riciclaggio illegale e smaltimento illegale di rifiuti sanitari”. Com’è cambiata la situazione da allora?

“L’attenzione delle forze di polizia è massima, almeno da quello che ci risulta. Il problema riguarda in generale la gestione dei rifiuti, poiché i meccanismi sono gli stessi, senza distinzioni tra i rifiuti speciali, pericolosi e non, e quindi anche sanitari e/o contaminati. Gli appalti sono sempre gli stessi, le stesse sono le garanzie, gli stessi sono i rischi. Il problema è dato semmai dalla creazione di situazioni di emergenza, dal concretizzarsi di situazioni di criticità, quindi di sofferenza gestionale, che sono il vero grimaldello per spalancare le porte ai clan e al malaffare. La carenza impiantistica, soprattutto in alcune aree del paese, su tutti il Mezzogiorno, può far aumentare esponenzialmente i costi di gestione legali, offrendo quindi nuovi spazi al mercato illegale. Ecco che accanto all’azione repressiva occorre capire se e dove servono impianti, serve capire chi gestisce i rifiuti pericolosi e con quali modalità e con quali modelli di tracciabilità, per esempio. Potrebbe essere questa l’occasione per fare un check-up complessivo sulla gestione dei rifiuti pericolosi in Italia, per mostrarne le criticità e provare a dare risposte.”