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Greenwashing: se lo conosci... lo eviti
Intervista a Michela Melis
di Diego Tavazzi

In questo articolo parliamo di:

Oltre il greenwashing
Linee guida sulla comunicazione ambientale per aziende sostenibili, credibili e competitive

Fabio Iraldo, Michela Melis

 

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Anche se l’impressione è che moltissime aziende si siano trasformate nelle migliori amiche dell’ambiente, e non perdano occasione per comunicarlo, la realtà è che sono ancora tantissime quelle che sono green solo a parole. Si tratta del greenwashing, un fenomeno diffuso e pericoloso, che Fabio Iraldo e Michela Melis, due dei principali esperti italiani del tema, hanno analizzato estesamente nel loro ultimo libro, Oltre il greenwashing.

Il sottotitolo del vostro libro, “linee guida sulla comunicazione ambientale per aziende sostenibili, credibili e competitive”, compare l’aggettivo “credibili”. Puoi spiegarci cos’è oggi, nell’era della comunicazione non mediata, un’azienda credibile, e cosa può fare per dimostrare di esserlo?
“Il tema della credibilità nella comunicazione aziendale è oggi più cruciale che mai. Le tecnologie digitali hanno trasformato radicalmente l’‘arena mediatica’ in cui le aziende veicolano i loro messaggi, mettendo a disposizione nuovi approcci, strumenti e canali per l’attuazione delle strategie di comunicazione. Rispetto alla comunicazione ambientale, questa rivoluzione indotta dalle tecnologie digitali offre enormi opportunità alle aziende di raggiungere e ampliare i propri target, generando, allo stesso tempo, nuovi rischi: così come è in grado di mettere in luce e valorizzare i comportamenti virtuosi, allo stesso modo il web è in grado di amplificare enormemente le conseguenze negative per quelle aziende che comunicano una sensibilità e un impegno ambientali senza metterne concretamente in pratica i dettami. In questo contesto, essere credibili significa anzitutto saper (e poter) affiancare a claim, immagini e grafiche attrattivi la solidità di dati robusti che avvalorino i contenuti trasmessi, trovando il giusto equilibrio tra il rigore del linguaggio scientifico e la fruibilità dei messaggi per i destinatari. La ricerca di questo equilibrio è una sfida a cui le imprese non si possono più sottrarre: limitarsi a slogan e claim generici, che vantano una presunta sostenibilità ambientale è una scelta che – se mai ha portato qualche beneficio nel brevissimo periodo – oggi non paga più: i consumatori sono sempre più consapevoli non solo degli impatti ambientali dei prodotti, ma anche del ruolo che essi stessi possono esercitare nel rivolgersi direttamente – e pubblicamente – alle aziende, affinché dimostrino la solidità delle loro affermazioni.”

Puoi raccontarci come si sono trasformate le strategie di greenwashing delle aziende, che nel tempo si sono dovute confrontare con consumatori sempre più attenti e consapevoli?
“Il fenomeno del greenwashing – inteso come l’utilizzo di asserzioni ambientali in modo generico, non attendibile e verificabile, poiché non supportato da riscontri scientifici – non è una novità. Come tuttavia spieghiamo nel libro, oggi la sua crescente diffusione è nella maggior parte dei casi riconducibile a un approccio superficiale, semplicistico e, talora, inconsapevole da parte delle imprese, piuttosto che a un tentativo in malafede di ingannare il consumatore. Da una recentissima indagine condotta dalla Commissione europea sulla comunicazione online (2021) è emerso che il 42% dei green claim utilizzati dalle aziende esaminate poteva ricadere in una vera e propria pratica commerciale scorretta, mentre nel 59% dei casi analizzati non era possibile accedere a informazioni a supporto di quanto dichiarato. Questi approcci superficiali non sono più ammissibili: gli strumenti per conoscere e quantificare gli impatti ambientali dei propri processi e prodotti ci sono e si basano su metodologie consolidate di Life Cycle Assessment, mentre tecnologie digitali e nuovi media offrono opportunità straordinarie per avvicinarsi al consumatore.” 

Nel libro indicate una serie di errori nella comunicazione ambientale. Puoi indicarci quali sono e soprattutto perché succedono? E, al contrario, quali sono gli elementi che rendono davvero efficaci le campagne di comunicazione ambientale?
“Gli errori più comuni sono di due tipi. Il primo, più diffuso, è quello compiuto dalle aziende che puntano tutto su espressioni e termini che sono poco più di uno slogan, quali per esempio ‘prodotto sostenibile’, ‘amico dell’ambiente’, che ‘aiuta la natura’. Questo tipo di affermazioni – oltre al fatto di essere ormai abusate sul mercato e quindi di non possedere l’elemento della distintività che dovrebbe essere proprio di un’efficace strategia di marketing – rischiano di ricadere nel greenwashing tutte le volte in cui non sono affiancate da claim cosiddetti di supporto, cioè da dichiarazioni basate su dati oggettivi e scientifici che spiegano e motivano l’asserzione principale, conferendole sostanza e credibilità. 
Il secondo tipo di errore, opposto al primo, è quello delle aziende che hanno condotto studi in base ai quali potrebbero fondare la loro comunicazione green, oppure hanno ottenuto certificazioni attestanti l’eccellenza ambientale dei loro prodotti, ma hanno paura di farne il perno della loro strategia di comunicazione, perché non sono in grado di tradurre i tecnicismi e il rigore dei risultati degli studi in messaggi semplici e immediati da comprendere, oppure temono di ‘stravolgere’ la percezione della loro identità e del loro brand agli occhi del consumatore. Ma sono solo queste aziende – che hanno davvero delle credenziali ambientali da ‘spendere’ – quelle che possono fare campagne di comunicazione ambientale efficaci: si tratta di coniugare completezza e credibilità dell’informazione ambientale, da un lato, con semplicità e attrattività dei messaggi, dall’altro.”

A che punto è la diffusione degli strumenti di rendicontazione nel nostro paese? E quando vengono utilizzati si traducono poi in scelte, anche in termini di comunicazione, coerenti con i risultati?
“Oggi per molte aziende gli strumenti di rendicontazione – primi fra tutti Report e Bilanci di sostenibilità – sono pratiche consolidate. Tuttavia, il loro ruolo e la loro efficacia nella comunicazione non sono sempre scontati. Se, per alcune imprese, realizzare un Report di sostenibilità è un’efficace leva di comunicazione, che contribuisce realmente a migliorare la qualità dell’interazione con le diverse parti interessate, in altri casi il ruolo e le potenzialità di questo strumento non sono ancora adeguatamente compresi e valorizzati nelle strategie di comunicazione. Per molte aziende, per esempio, è ancora difficile comprendere che un ‘buon Report’ non è una vetrina in cui si raccontano solo ed esclusivamente e in modo discrezionale i risultati positivi conseguiti, ma lo strumento principale con cui l’azienda dovrebbe dare attuazione all’impegno verso la trasparenza delle proprie performance ambientali e sociali. Se non si comprende fino in fondo il valore della trasparenza, non si può davvero essere credibili né efficaci. 
Nel libro dedichiamo un’ampia sezione agli strumenti di rendicontazione, che oggi si trovano di fronte a una sfida rinnovata, connessa alla molteplicità di ruoli e di funzioni a cui sono (e sempre più saranno) chiamati ad assolvere e alla pluralità di target a cui devono (e sempre di più dovranno) rivolgersi, soprattutto nel contesto della revisione della revisione della Direttiva 2014/95/UE sulla rendicontazione non finanziaria e delle implicazioni connesse ai nuovi obblighi informativi introdotti nell’ambito del Pacchetto europeo sulla Finanza Sostenibile [COM(2018) 97].”