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Il tessile alla prova dell’economia circolare
di Francesco Petrucci

In questo articolo parliamo di:

Materia Rinnovabile 

Outdoor industry 

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Secondo l’Agenzia europea per l’ambiente il settore tessile occupa la quarta posizione tra i settori che utilizzano più materie prime e acqua dopo l’alimentare, l’edilizia abitativa e i trasporti, e la quinta posizione per quanto riguarda le emissioni di gas a effetto serra. Dal Rapporto A new Textiles Economy (2017) della Ellen MacArthur Foundation risulta che meno dell’1% di tutti i prodotti tessili nel mondo siano riciclati in nuovi prodotti.

Le nuove norme del Pacchetto economia circolare dell’Unione europea, in particolare la direttiva sui rifiuti 2018/851/Ue (recepita finora solo da cinque stati Ue, tra cui l’Italia, il termine è scaduto il 5 luglio 2020) hanno intenzione di rendere i prodotti tessili più “circolari” per ridurre il loro impatto ambientale.

Una novità delle norme Ue è stata dare per la prima volta una definizione di “rifiuto urbano”, nella quale sono compresi i rifiuti tessili. Per il sistema di raccolta dei rifiuti urbani – gestito dalle Autorità pubbliche locali – la svolta non è di scarso rilievo e probabilmente farà aumentare i costi del servizio per i cittadini. Ma si tratta di un cambiamento epocale anche per i produttori dei prodotti tessili, chiamati dalle nuove regole europee a una maggiore responsabilità, anche finanziaria, per la gestione del fine vita dei loro prodotti.

Secondo la direttiva sui rifiuti entro il 2025 i rifiuti tessili devono entrare obbligatoriamente nella raccolta differenziata dei rifiuti urbani, come già accade con gli imballaggi e, in diversi stati, per i rifiuti organici (l’obbligo di raccolta differenziata per quest’ultimo tipo di rifiuti scatterà nel 2023).

Lo scopo è aumentare la raccolta separata dei rifiuti tessili, che peraltro dal 2014 al 2019 è passata da 2 milioni a 2,8 milioni di tonnellate (su circa 10,7 milioni di tonnellate di tessili consumate, tra prodotte e importate, al netto dell’export). Un dato che deve crescere. Inoltre non è sufficiente raccogliere i rifiuti tessili; per questo alla raccolta si affianca un altro traguardo: entro il 2030 almeno il 60% dei rifiuti urbani (compresi i tessili) deve essere riciclato o preparato per il riutilizzo (65% al 2035), mentre al 2035 solo il 10% dei rifiuti urbani potrà essere smaltito in discarica.

Per raggiungere gli impegnativi target di riciclo e riutilizzo, occorre anche prevedere una maggiore responsabilità per i produttori dei prodotti tessili. A questo scopo, gli stati membri dovranno approvare schemi di responsabilità estesa del produttore (extended producer responsibility, Epr), cioè una serie di regole e obblighi che disciplinano la responsabilità finanziaria e organizzativa dei produttori dei prodotti tessili per la gestione del fine vita degli stessi, così come già avviene per gli imballaggi, gli pneumatici, gli oli minerali, le batterie o gli apparecchi elettrici ed elettronici.

Peraltro, l’industria si è già mossa senza aspettare i futuri obblighi Ue. La Confederazione europea dell’abbigliamento e del tessile (Euratex) a novembre 2020 ha presentato ReHubs (European Textile Recycling Hubs), un’iniziativa congiunta per riciclare rifiuti tessili e materiali circolari in tutta Europa. L’obiettivo è creare 5 hub per trattare i rifiuti tessili e diventare centri di coordinamento europei e fornitori di servizi e soluzioni alle imprese, gestendo diversi flussi di scarti tessili (candidati ideali: Belgio, Finlandia, Germania, Italia e Spagna). 

A queste novità normative si aggiunge il Piano d’azione per l’economia circolare di marzo 2020 nel quale la Commissione europea ha annunciato una Strategia per il tessile che mira a rafforzare la competitività e l’innovazione, promuovendo nell’Unione un mercato per prodotti tessili sostenibili e circolari, lottando contro la fast fashion e promuovendo nuovi modelli commerciali. Servono regole sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti tessili, un sistema di etichettatura che informi i consumatori per spingerli a scelte sostenibili, incentivi ai produttori per modelli “prodotto come servizio”, e materiali e processi di produzione circolari.

Un’altra leva fondamentale per spingere verso un tessile sostenibile sono gli appalti verdi della pubblica amministrazione (green public procurement) con criteri ambientali minimi da inserire nei bandi di gara per l’approvvigionamento di prodotti tessili. L’11 maggio 2020 l’Unione europea ha pubblicato una guida (non obbligatoria) per gli “appalti verdi” per i prodotti e servizi tessili. Anche se volontaria, l’applicazione di questi criteri negli appalti pubblici da parte degli stati membri può dare una mano a ridurre l’impatto ambientale dei prodotti tessili in un’ottica più sostenibile e circolare.

 

In collaborazione con Rivista “Rifiuti – Bollettino di informazione normativa” e Osservatorio di normativa ambientale