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In questo numero:

Digitale e sostenibile: si può fare? di Marco Moro
Raccontare la biodiversità di Diego Tavazzi
Hackerare il food system con la dieta mediterranea di Annamaria Duello
La Sardegna come le Hawaii di Paola Fraschini
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Hackerare il food system con la dieta mediterranea
di Annamaria Duello

In questo articolo parliamo di:

FoodSystem 5.0
Cibo, comunità, tecnologie

di Alex Giordano 

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Fra gli scaffali dei supermercati, in Europa come oltreoceano, niente vende meglio di ciò che viene marchiato a fuoco come “prodotto mediterraneo”. Lo sappiamo bene qui in Italia, dove non si tratta di una semplice questione di campanilismo o di rincorsa al tanto agognato chilometro zero. Se si parla di cibo, e noi italiani ne parliamo sempre, ciò che è prodotto, coltivato, allevato e pescato entro l’area mediterranea è garanzia di qualità e genuinità.

Siamo cultori dell’olio EVO, panificatori e pastificatori eccellenti, intenditori di frutta e vegetali, amanti di pesce e legumi. Parliamo la lingua della dieta mediterranea, caratteristica e cangiante dalle coste della Grecia fino a quelle della Spagna. È cultura, identità e tradizione. È parte del nostro DNA.

Negli ultimi anni, tuttavia, le caratteristiche di questa dieta – dalle pratiche di lavorazione fino al prodotto finale sul nostro piatto – sono state percepite nel loro insieme come un vero e proprio brand, nonché sinonimo in molti casi di “Made in Italy”. Una strategia per vendere prodotti-simbolo, stili di vita sani, cibo salutare e territori di rara bellezza. Si tratta di una semplificazione che avvantaggia il marketing territoriale, ma che rischia di trasformare un patrimonio storico, culturale e geografico in un concetto utile al mercato.

È uno dei temi su cui riflette Alex Giordano in FoodSystem 5.0, libro in uscita a settembre, dove la dieta mediterranea viene indicata come leva strategica per agire sulla trasformazione tecnologica dell’intero settore agroalimentare.

Per sostenere le lotte ambientali e i cambiamenti verso un futuro più sostenibile, la tecnologia gioca un ruolo fondamentale.  È lo stesso anche per il miglioramento della filiera lunga del cibo, dai sistemi di coltivazione, pesca e allevamento, fino all’immissione nel mercato e alla vendita degli alimenti. Il rischio, spiega Giordano, è però quello di andare incontro a un’accelerazione tecnologica che allontani sempre più le persone e la comunità dal sistema. L’eccessiva massificazione e industrializzazione della filiera potrebbe avere conseguenze negative sull’ambiente, aggravare le disuguaglianze e far perdere quel senso di collettività che dovrebbe essere invece il cuore pulsante del settore. 

E la dieta mediterranea, secondo Alex Giordano e secondo noi di Edizioni Ambiente, è anche questo: un cuore pulsante. Un insieme di pratiche simboliche, rituali, abitudini alimentari e artigianali capaci di generare e di unire, ormai da secoli, la comunità. Ecco perché ridurre il tutto a un brandrischia di banalizzare, se non desacralizzare, un patrimonio tanto prezioso per più di una ragione. 

Dieta mediterranea, comunità e tecnologiaentrano allora in profonda connessione fra di loro, tanto da essere descritte nel testo come le tre chiavi per hackerare il sistema Agritech. E se con hackeraggio intendiamo “alterazione di un ecosistema”, sia esso virtuale o fisico, con “hacker” ci riferiamo allora all’artigiano capace di operare questo cambiamento. Per riuscirci e ripensare il Food System, l’hacker dovrà riuscire a cogliere le potenzialità di ognuna esse, mettendo al centro le persone e l’ambiente e utilizzando in maniera equilibrata le tecnologie. L’innovazione tecnologica dell’agroalimentare sarà dunque possibile, ma solo passando prima dalla comunità, e quindi dall’innovazione sociale.