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Il ritorno del nucleare in Italia
di Ilaria Di Bella

L’Italia torna al nucleare, anche se per ora solo sulla carta. Ciò che era uscito dalla porta 22 anni fa con la vittoria massiccia del sì al referendum abrogativo, rientra oggi dalla finestra con l’approvazione al Senato, a maggioranza, di una delega al Governo, contenuta in due articoli del disegno di legge sullo sviluppo e l’energia.
Nel 1987 i tre quesiti proposti – che riguardavano l’abrogazione dell’intervento statale nel caso in cui un Comune si rifiutasse di ospitare una centrale, la cancellazione delle compensazioni economiche per gli enti locali e infine l’esclusione della possibilità per l’Enel di partecipare alla costruzione di centrali nucleari all’estero – raggiunsero il quorum con il 65 per cento dei votanti, ottenendo consensi schiaccianti: intorno all’80 per cento i primi due, più del 70 il terzo (che appariva effettivamente il più discutibile).
Al Senato, il 12 maggio, la maggioranza ha dato il primo via libera a una delega molto ampia che permetterà al Governo, emanando uno o più decreti legislativi entro sei mesi, di mettere mano alla disciplina per la localizzazione, la realizzazione e la gestione degli impianti relativi a tutta la filiera nucleare, dalla produzione del combustibile, allo stoccaggio dei rifiuti passando per la produzione vera e propria.

Gli inquietanti criteri di delega
Tra i “paletti” della delega, la “possibilità di dichiarare i siti aree di interesse strategico nazionale, soggette a speciali forme di vigilanza e di protezione” (anche militare), “la determinazione del potere sostitutivo del Governo in caso di mancato raggiungimento delle necessarie intese con i diversi enti locali”, la “previsione che gli oneri relativi ai controlli di sicurezza e di radioprotezione (...) siano a titolo oneroso a carico degli esercenti delle attività”. En passant, il legislatore si è anche preoccupato della poss ibile contrarietà di un’opinione pubblica che si è già espressa, in modo chiaro, in passato sulla materia: ha previsto di realizzare “una campagna di informazione alla popolazione italiana sull’energia nucleare, con particolare riferimento alla sua sicurezza e alla sua economicità”. Una delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) definirà le tipologie degli impianti ammessi a produrre energia nucleare nel nostro paese e stabilirà criteri e misure per favorire la costituzione di consorzi per la costruzione e l’esercizio delle centrali, ai quali dunque potranno partecipare anche imprenditori. I privati che decideranno di imbarcarsi in questa avventura dovranno accollarsi anche i costi del futuro smantellamento degli impianti e del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti radioattivi, costituendo un fondo dedicato.

I commenti
Roberto Della Seta, capogruppo del Pd nella commissione Ambiente del Senato ha denunciato come “i siti delle nuove centrali verranno scelti dalle imprese e potranno essere localizzati anche contro il parere della Regione che dovrà ospitarli, gli impianti saranno equiparati a installazioni militari e le informazioni sul loro funzionamento saranno inaccessibili ai cittadini: ecco il nucleare di Berlusconi e Scajola”. E ha poi aggiunto che “il costo della realizzazione di 4 centrali da 6.400 megawatt sarà di 20/25 miliardi, mentre il contributo di questi impianti ai consumi di energia del paese sarà inferiore al 5 per cento. La verità è che questo disegno di legge nel nome del nucleare ignora del tutto i veri nodi da sciogliere per dare all’Italia una politica energetica rinnovata ed efficace” (tipo per esempio investimenti sulle rinnovabili, ndr). “Il programma nucleare italiano non è costoso, sbagliato o pericoloso – ha detto il ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola – perché assicurerà una riduzione strutturale dei prezzi dell’elettricità e sarà realizzato in un’ottica di economicità, di libero mercato... È indispensabile per rispondere alle sfide del cambiamento climatico e ottemperare agli obblighi internazionali di riduzione dei gas effetto serra... Non è pericoloso. Il programma sarà attuato secondo le migliori tecnologie e su tutto il settore vigilerà l’Agenzia per la sicurezza nucleare. Infine la scelta nucleare non è contro le Regioni”. Intanto la maggioranza dei governatori, anche di centrodestra, ha già detto un secco no.

Centrali nucleari nelle aree militari?
Un aspetto particolarmente preoccupante e oscuro della nuova normativa è stato denunciato dal senatore Pd Carlo Pegorer, che insieme ai colleghi Gian Piero Scanu e Della Seta ha presentato un’interrogazione parlamentare rivolta a Stefania Prestigiacomo e Ignazio La Russa. Secondo Pegorer, il combinato disposto del ddl sviluppo – che oltre al ritorno al nucleare dispone anche la possibilità di dare in concessione a privati le aree del demanio militare per la produzione di energia – e del progetto della Difesa spa, che affida a una società privata la valorizzazione del patrimonio militare, avrebbe una conseguenza inquietante: la possibilità per un privato di realizzare una centrale nucleare in un’area militare. Ciò significherebbe che l’amministrazione comunale e i cittadini non avrebbero alcuna voce in capitolo sulla localizzazione e sulla realizzazione dell’impianto, né alcun controllo sulla gestione. Si attende risposta del Governo.