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Un mare di illegalità
di Antonio Pergolizzi

Mentre il Giappone sfida il mondo intero e continua a cacciare le balene, minacciandone l’estinzione, nei nostri mari si gioca una battaglia non meno feroce. È la pesca di frodo, o meglio illegale, fatta utilizzando reti illegali, soprattutto le spadare, che tutto raccoglono e tutto uccidono, veri e propri “muri della morte” per ogni forma vivente. Un fenomeno tanto diffuso nei nostri mari, quanto difficile da contrastare per le forze di polizia, costrette a misurarsi giorno dopo giorno con bande ben agguerrite, dotate tecnologicamente e mai dome al rispetto della legge. C’è in gioco la salvaguardia della biodiversità marina e dell’economia legale dei mercati ittici.
Questo tipo di pesca indiscriminata è infatti un pericolo per la conservazione di tartarughe, piccoli delfini, capodogli o balenottere. Ogni anno almeno 300 mila esemplari di queste specie trovano la morte per soffocamento nelle reti killer. Reti proibite in tutta l’Unione europea dal 2002 e che dovrebbero già essere state distrutte, grazie ai tanti milioni di euro spesi dall’Ue per “indennizzare” i pescatori proprietari. Dovrebbero, perché nella realtà molti degli “indennizzati” hanno prima preso i soldi europei e poi continuato come nulla fosse. Una truffa imponente che non è passata inosservata in Europa. Tant’è che lo scorso ottobre è arrivata la condanna del nostro paese da parte della Corte di giustizia europea, proprio a causa dell’ampio ricorso alle spadare. Per i giudici europei “l’Italia non ha provveduto a controllare, ispezionare e sorvegliare l’esercizio della pesca per assicurare, così come previsto dalle norme Ue, il rispetto del divieto di detenzione a bordo dei pescherecci di reti da posta derivanti, le cosidette spadare, e del loro utilizzo”. L’Italia, secondo i giudici, non ha “provveduto in misura sufficiente a che fossero adottati adeguati provvedimenti nei confronti dei responsabili delle infrazioni alla normativa comunitaria in materia di detenzione a bordo e di utilizzo di reti da posta derivanti, segnatamente con l’applicazione di sanzioni dissuasive”. Nel solo periodo tra il 2003 e il 2006 le sanzioni inflitte sono state definite scarse e le ammende amministrative non hanno superato un importo pari a mille euro. Anche il numero delle reti sequestrate è ritenuto decisamente ridotto. Anche se – occorre aggiungere – negli ultimi anni la situazione sta cambiando rotta, in meglio.
Come sottolineano gli inquirenti, in questo settore lavorano a tempo pieno, non improvvisati pescatori, ma vere e proprie organizzazioni criminali armate di tutto punto per rastrellare ogni forma di vita presente nei mari. Si fa tabula rasa, con il rischio di desertificare i fondali e azzerare gli stock ittici. La reazione delle forze dell’ordine e delle Capitanerie di porto non manca, anche se rimane l’estrema difficoltà di controllare tutti gli specchi di mare, a cui vanno aggiunte le sempre minori risorse economiche destinate ai controlli e l’eccessiva intraprendenza dei pescatori, che ne studiano sempre di nuove per sfuggire ai controlli. Come l’uso non corretto da parte dei pescherecci fuori legge del sistema di radiolocalizzazione “blue box”, onde impedire alle unità navali delle Capitanerie di porto, e delle altre forze di polizia, l’esatta individuazione dei natanti.
I lauti guadagni, ottenuti a scapito dei pescatori onesti, fanno sì che in questo campo il gioco valga sempre la candela. Secondo le stime di Confesercenti solo il business annuo legale ammonterebbe a circa due miliardi euro. Impossibile, invece, stimare l’incasso del mercato illegale, che, assicurano gli inquirenti, non sfigura affatto rispetto a quello legale.
In questo settore è altresì ben radicata la presenza della criminalità organizzata di tipo mafioso, che controlla intere flottiglie e, sempre più spesso, inquina i mercati, impone regole, investe e ricicla. Non sorprende se Calabria, Campania, Sicilia e Puglia sono tradizionalmente le regioni dove si fa più uso di spadare e di altri strumenti illegali. Anche lo scorso anno, infatti, le marinerie maggiormente coinvolte nelle operazioni di polizia sono state quelle di Reggio Calabria, Catania, Roma e Napoli. In totale, in queste regioni sono state sequestrate nell’ultimo anno più di 133 mila metri di reti spadare e quasi 111 mila di ferrettare. Queste ultime, insieme ai “palangari”, sono rinvenute sistematicamente in tutte le imbarcazioni “professionalmente” dedite alla pesca illegale, in quanto facili alibi durante i controlli ispettivi. Dal 2006, infatti, le ferrettare sono reti legali a determinate condizioni: la lunghezza non deve superare i 2 chilometri e mezzo, la larghezza massima della maglia deve essere di 180 millimetri e il loro impiego consentito fino a 10 miglia dalla costa; fermo restando l’assoluto divieto per la cattura dei pescespada. La verità è che queste reti, seppure legali, sono utilizzate sempre più spesso in modo illegale (tant’è che nel 2009 si registra un boom di sequestri di questo genere di reti), aggirando i limiti e proprio per catturare il pescespada.
Dai dati delle Capitanerie si evince che la carenza di risorse destinate alle attività investigative e repressive ha “costretto” all’intensificazione dei controlli sulla terra ferma, piuttosto che in mare, che hanno raggiunto nell’ultimo anno il 68% delle ispezioni (banchine e depositi).
I risultati repressivi non sono mancati. Una delle principali operazioni è dell’agosto scorso ed è stata denominata “Ferragosto a Biserta”, il già citato porto tunisino utilizzato da imbarcazioni della marineria catanese e palermitana per pesca con reti illegali nelle acque a nord della Tunisia. Nell’occasione sono stati intercettati 3 pescherecci intenti a salpare gli attrezzi illegali a 40 miglia a nord dalla costa africana. L’operazione ha portato al sequestro di circa 11.000 metri al primo peschereccio e di circa 15.500 al secondo, oltre a mille chili di pescespada.
Negli stessi giorni, nelle acque del Canale di Sardegna, la Guardia Costiera ha individuato e sequestrato 43 chilometri di spadare. Sempre in Sardegna, ad Alghero, la Guardia di Finanza ha sequestrato circa 2.000 metri di rete che presumibilmente era destinata alla pesca del pescespada. Per quanto riguarda le quantità di pesce sequestrato dalle Capitanerie di porto, la Campania, la Sicilia, la Puglia e la Calabria (regioni a tradizionale presenza mafiosa) e il Veneto tra le regioni del nord, si confermano quelle dove sono avvenuti i maggiori sequestri. Anche sul generico fronte delle infrazioni in materia di pesca, le stesse quattro regioni del sud mantengono il podio nella classifica dei “cattivi”.
In Calabria, due casi su tutti meritano di essere menzionati. Il primo riguarda le flottiglie di stanza a Cetraro, provincia di Cosenza, che continuano a “sguazzare” nell’illegalità: nell’ultimo anno sono stati sequestrati circa 19.000 metri di reti da pesca illegali, tra cui circa 9.000 metri di spadare, circa 7.000 metri di reti ferrettare e circa 2.600 metri di reti da posta fisse. Sono state inoltre notificate 33 notizie di reato connessi alla pesca alle Procure di Paola e Cosenza. Mentre pare “normalizzarsi” la situazione nell’altro punto caldo calabrese, Bagnara Calabra (Rc). Dopo anni di pesca fuori controllo e senza limiti, l’accresciuto impegno delle forze dell’ordine e della magistratura pare al momento arginare ciò che è stata definita dagli inquirenti “una pericolosa deriva d’illegalità”. Cioè il costante ricorso alla pesca illegale, che ha creato nel tempo un vero e proprio sistema criminale, infiltratosi fin dentro le amministrazioni locali.