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Capitalismo naturale: l’unica rivoluzione possibile
di Diego Tavazzi

In questo articolo
parliamo di:
cover Capitalismo naturale
di di Paul Hawken, Amory B. Lovins, L. Hunter Lovins


È di pochi giorni fa la notizia secondo cui l’Italia si avvia a diventare la prima nazione al mondo come potenza fotovoltaica installata. Secondo le stime del Gestore dei servizi elettrici, a fine 2011 l’Italia raggiungerà infatti i 12 GW di potenza installata grazie a circa 300.000 impianti collegati alla rete. Si tratta di valori di tutto rispetto (pari a circa una volta e mezza quelli della centrale nucleare in costruzione a Olkiluoto), conseguiti in tempi relativamente brevi e nonostante le incertezze derivanti dalle complicate vicende normative che hanno caratterizzato il nostro paese. Si tratta, inoltre, dell’ennesima conferma delle intuizioni di Paul Hawken e Amory e Hunter Lovins contenute nel “testo sacro” della green economy, Capitalismo naturale. Pubblicato per la prima volta nel 1999, e ora aggiornato con una prefazione che fa il punto sugli sviluppi degli ultimi dieci anni, il libro sostiene una tesi molto chiara. Secondo gli autori, a partire dalla Rivoluzione industriale l’attività e la dottrina economiche si sono ispirate a una serie di assunti più o meno espliciti: 1) i sistemi produttivi e distributivi del libero mercato creano progresso economico, e quando il Pil aumenta migliora il benessere di tutti; 2) nelle condizioni di libero mercato, le informazioni circolano al meglio e le risorse e la forza lavoro verranno impiegate nel miglior modo possibile; 3) la concorrenza premia chi è in grado di costruire gli impianti più grandi, capaci di produrre più merci; 4) ci si può occupare dell’ambiente solo a condizione che ciò non ostacoli la crescita economica; eventuali riduzioni nella disponibilità di materie prime saranno compensate da migliori tecniche o da risorse sostitutive.
Questo approccio, che nell’arco di duecento anni ha migliorato le condizioni di vita di miliardi di persone, si scontra con il fatto che il contesto in cui si svolge oggi l’attività economica è profondamente diverso da quello in cui vennero formulati gli assunti che hanno guidato l’attività degli imprenditori negli ultimi secoli. Dal lato dell’offerta, le risorse (acqua, terra, aria, combustibili fossili, vegetazione e biodiversità), considerate pressoché inesauribili o comunque rimpiazzabili, sono in via di esaurimento o sono state danneggiate a livelli tali da renderne impossibile o antieconomico l’utilizzo. D’altra parte, gli scarti prodotti dall’attività umana, che si pensava di poter gestire senza eccessive difficoltà, hanno raggiunto quantità e caratteristiche tali da interferire con i cicli naturali. Il riscaldamento globale conseguente all’alterazione dell’effetto serra naturale è l’esempio più conosciuto, ma gli studi scientifici si accumulano e dimostrano che praticamente tutti i sistemi naturali sono stati danneggiati o compromessi dalle attività umane. Ecco allora che a fronte della prospettiva del collasso della civiltà per come la conosciamo (prospettiva illustrata da Lester R. Brown nel suo ultimo libro pubblicato da Edizioni Ambiente, Un mondo al bivio), diventa urgente elaborare proposte alternative. Quella messa a punto da Capitalismo naturale si basa appunto su una gamma di valori radicalmente differenti da quelli tradizionali. In primo luogo, i Lovins e Hawken (autore tra l’altro di Moltitudine inarrestabile, pubblicato nel 2009 da Edizioni Ambiente) precisano che l’ambiente non è un fattore produttivo come gli altri, ma “l’involucro che contiene, rifornisce e sostiene l’intera economia”. Da qui derivano tutti gli altri assunti: 1) i fattori che limitano l’espansione dell’economia sono la futura disponibilità e il buon funzionamento di quello che viene chiamato “capitale naturale”, cioè dell’insieme delle materie prime, dei sistemi viventi e delle funzioni che questi svolgono; 2) un’economia può dirsi sostenibile quando è pensata e agisce senza danneggiare il capitale naturale e gli lascia il tempo di rigenerarsi; 3) uno degli elementi fondamentali di un’economia sostenibile è il radicale miglioramento della produttività delle risorse, a cui si deve accompagnare l’implementazione di sistemi di governance democratici e basati sui bisogni delle persone e non su quelli delle aziende (e questa raccomandazione appare oggi quanto mai opportuna, considerati i disastri che la finanziarizzazione dell’economia sta provocando in tutto il mondo).
Nonostante le inevitabili inerzie, la rivoluzione teorizzata in Capitalismo naturale è ormai realtà: ha investito tutti i settori produttivi, edilizia, trasporti, industria e agroalimentare, e si è diffusa in ogni nazione del pianeta (e infatti la nuova introduzione del volume dedica ampio spazio ai progressi della Cina). È vero, come precisa Bill McKibben in Terraa, che l’infrastruttura necessaria per estrarre, trasportare, lavorare e distribuire i combustibili fossili (e il sistema economico da essa generato) è la più grande mai creata dall’uomo, e che quindi saranno necessari tempi lunghi per rimpiazzarla completamente, ma è anche vero che l’efficienza, concetto alla base del Capitalismo naturale, è molto più economica e veloce da conseguire. E nell’attesa che la rivoluzione sia completata, anche qui nel nostro paese potremmo comunque consolarci con qualche altro primato.