L'energia del Mediterraneo di Marco Moro
I grandi progetti per le rinnovabili nel Mediterraneo. Intervista a Roberto Vigotti di Paola Fraschini
Rifiuti speciali. Intervista a Paola Ficco di Lavinia Basso
Molte soluzioni per una triplice crisi. Intervista a Danilo Bonato di Diego Tavazzi
La Conferenza delle Parti di Durban di Federico Antognazza
Molte soluzioni per una triplice crisi
Intervista a Danilo Bonato
di Diego Tavazzi
La parola che più caratterizza questi mesi è senza dubbio “crisi”. In realtà, questa parola andrebbe sempre declinata al plurale, dato che, come spiega bene il volume di Danilo Bonato, le crisi sono in realtà tre. Abbiamo chiesto all’autore di La terza crisi di illustrarci i legami tra le tre crisi e le possibili soluzioni a esse.
Crisi finanziaria,
crisi economica e crisi ecologica: come sono legate tra di loro? E perché,
a suo giudizio, bisogna da subito affrontare la crisi ecologica se si vuole
provare a superare quella finanziaria e quella economica?
Le tre crisi sono altrettante
manifestazioni dei limiti dei modelli di sviluppo che le economie occidentali
hanno adottato a partire dall’ultimo dopoguerra. Esse sono intimamente collegate.
L’esasperazione della crescita dei consumi ha portato prima allo scoppio della
bolla finanziaria, ora all’esplosione del debito e della disoccupazione e tra
meno di due decenni determinerà il deterioramento irreversibile dei sistemi naturali.
Scegliere di aggredire con decisione la crisi ecologica permetterebbe di adottare
soluzioni strutturali finalizzate a riorientare in modo virtuoso il nostro modello
di sviluppo, contribuendo così a superare anche le altre due crisi.
Nel libro
vengono analizzate sette questioni (crescita demografica, consumo delle risorse,
carenza di cibo e siccità, deforestazione, distruzione della biodiversità, aumento
della temperatura, rifiuti e inquinamento) che stanno deteriorando il funzionamento
dei sistemi naturali da cui dipendono le nostre economie: è possibile invertire
il trend negativo che, come risulta da un numero crescente di studi, sta accelerando
e rischia di portarci in fretta verso gli scenari peggiori?
La buona notizia è che
tutte queste questioni interagiscono come se fossero collegate da un filo invisibile.
Intervenire su una di esse vuol dire condizionare anche le altre. L’impegno a
ridurre le emissioni di gas serra aiuta le popolazioni più povere a mitigare
le emergenze legate alla siccità e alle devastazioni del loro territorio, così come
i progressi della società del riciclo, che punta a minimizzare rifiuti e inquinamento,
contribuiscono a contenere il consumo di risorse naturali. I governi e le imprese
dovrebbero impegnarsi di più per attivare questo “circolo virtuoso”, realizzando
progetti concreti e imparando a misurarne i risultati.
Esiste un'alternativa
tra liberismo e keynesianesimo, i due poli attorno a cui hanno gravitato le
politiche economiche degli ultimi sessant'anni? E se sì, quali sono gli elementi
che la caratterizzano?
L’alternativa esiste ed è già stata sperimentata con successo
in numerosi contesti socio-economici in diverse parti del mondo. Semplificando
un po’ si tratta di costruire modelli di sviluppo capaci sì di valorizzare libera
iniziativa e orientamento al profitto tipici dei sistemi “liberisti” ma arricchendoli
con moderni e innovativi “strumenti di regolazione esterna” da utilizzare in
modo selettivo ed efficace per migliorare l’orientamento al futuro, l’attenzione
al benessere delle nuove generazioni e la tutela degli interessi collettivi.
Non è certo un percorso semplice o privo di rischi ma è quello che offre alla
nostra società le maggiori garanzie di prosperità e giustizia a medio lungo termine.
In un editoriale pubblicato
su Nature a
commento dei risultati della conferenza di Durban
si legge che “la scienza del cambiamento climatico e la politica che afferma
di rappresentarla abitano mondi paralleli”. Questo discorso può essere allargato
fino a comprendere le politiche ambientali in generale: cosa possono fare cittadini
e imprenditori per uscire da questa impasse?
La politica sembra incerta e divisa di fronte alle sfide del cambiamento climatico
e, più in generale, dell’ambiente. Prevalgono gli interessi immediati e per
ora dobbiamo accontentarci di impegni generici e trasferiti in un futuro piuttosto
lontano. Per di più la crisi economica sta esasperando lo scollamento tra priorità ambientali
ed efficacia degli interventi dei governi mondiali ed è per questo che è ancora
più necessaria una mobilitazione delle imprese e dei cittadini. Si tratta da
un lato di pretendere dalla politica maggiore attenzione agli impatti negativi
dei sistemi socioeconomici sui sistemi naturali, ma dall’altro di prendere
parte a progetti di rinnovamento delle strategie industriali e di consumo finalizzati
non solo alla tutela ambientale ma soprattutto all’affermazione di un modello
economico sempre meno dipendente dal carbonio, più equilibrato e attento alla
qualità della crescita. I governi possono e devono fare di più per creare le
condizioni giuste ma poi, se vogliamo davvero svoltare, servono l’impegno,
l’intelligenza
e la sensibilità delle persone e delle aziende.
Quali sono gli strumenti che
il sistema produttivo e le aziende italiane possono utilizzare per provare
a uscire dalla crisi che le attanaglia?
La terza crisi dedica un capitolo all’analisi
delle strategie e degli strumenti adottati dalle aziende che riescono ad accrescere
la loro competitività attraverso prodotti e processi più sostenibili rispetto
a quelli dei competitor. Occorrono innanzi tutto una buona visione strategica
da parte del management e una solida cultura in senso “green”, sulle quali
innestare progetti di cambiamento fondati sulla biomimetica, l’impiego sistematico
del life cycle management, la progettazione di processi basati sull’intelligenza
distribuita, la graduale trasformazione dei prodotti in servizi, il lean
manufacturing e lo sviluppo di sistemi zero waste. Teorie astratte? Assolutamente no. Si
tratta di best practices già diffuse nelle aziende leader a livello internazionale
e facilmente trasferibili nelle nostre imprese.