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Il capitano di industria che parlava di fiori
Intervista a Mario Bonaccorso
di Diego Tavazzi

In questo articolo parliamo di:

L’uomo che inventò la bioeconomia
Raul Gardini e la nascita della chimica verde in Italia

Mario Bonaccorso

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Le prime teorizzazioni sulla bioeconomia, a firma di Georgescu-Roegen, risalgono agli anni ’70, ma è in Italia, grazie alle intuizioni e all’attività imprenditoriale di Raul Gardini, che trovano concreta attuazione. Il libro di Mario Bonaccorso ricostruisce una parte della storia imprenditoriale del nostro paese, e apre prospettive inedite su “l’uomo che inventò la bioeconomia”.

 

Il tuo libro è (anche) la ricostruzione di un periodo assai complicato della storia del nostro Paese, gli anni '80 e '90. Puoi raccontarci che fonti hai consultato? Come ti sei trovato nei panni dello storico?

“Fammi dire innanzitutto che io mi sono laureato in Metodologia della ricerca storica e per un breve periodo sono stato anche cultore della materia alla cattedra di Storia delle Relazioni internazionali dell’Università di Milano. Questo certamente non fa di me uno storico, ma fa capire quanto mi possano piacere i panni dello storico. Il libro rappresenta dalla mia prospettiva una sorta di punto di incontro tra giornalismo e storiografia, che a circa trent’anni dalla scomparsa di Gardini ci consente di recuperare il valore dell’imprenditore romagnolo al di là della cronaca partigiana degli anni ’80 e ’90. Qualcuno potrebbe parlare di storia del presente. 

Se valutiamo la storia nella lunga durata, tanto cara al movimento storiografico della École des Annales francese, allora possiamo vedere come Gardini abbia compiuto un cambiamento strutturale che da un modello di economia e società basata sulle fonti fossili ci ha portato gradualmente verso la bioeconomia sostenibile e circolare. Il libro ci consegna un Gardini innovatore e precursore, uno di quegli uomini che sono in grado di incidere profondamente sul corso della storia. 

Le fonti di cui mi sono avvalso vanno dagli articoli della stampa dell’epoca, sia in Italia sia all’estero, ai suoi appunti scritti a mano e conservati dalla Fondazione che porta il suo nome, fino ai suoi interventi in occasione di assemblea, convegni, lettere aperte spedite ai giornali. Un archivio ricco, visto che Gardini fu uno dei principali protagonisti dell’economia e della finanza negli anni '80 e all’inizio dei ’90.” 

 

L’esergo del tuo libro, “La visione è l’arte di vedere ciò che è invisibile agli altri”, una citazione da Jonathan Swift, si attaglia perfettamente a Gardini, che è stato in effetti un visionario, capace di intuire e trasformare in impresa connessioni e schemi altrimenti nascosti. Dove sarebbe potuto arrivare l’imprenditore ravennate?

“È una domanda a cui è difficile rispondere. Ripercorrendo i pensieri e le azioni di Gardini ho comunque pensato alla grande opportunità persa dal nostro paese.

L’imprenditore romagnolo auspicava che l’Italia si potesse dotare di un grande gruppo chimico in grado di fare innovazione e competere sui mercati internazionali. Aveva una grande impronta europeista. Con gli occhi dell’osservatore che arriva trent’anni dopo, noi sappiamo che Gardini ha anticipato temi e iniziative che oggi sono entrati in modo prepotente nell’agenda di quasi tutti i paesi del mondo. Per questa sua caratteristica di anticipare i tempi, a me sembra quasi di poterlo vedere oggi alla guida della transizione verso la bioeconomia circolare di cui il nostro mondo ha così tanto bisogno. Sicuramente si sarebbe trovato a proprio agio in questo Terzo millennio.”

 

Quando si pensa ai successori di Raul Gardini ovviamente viene in mente Catia Bastioli. Ci sono altre realtà che spiccano oggi per capacità di innovazione e di visione nel settore della bioeconomia? E hanno, in qualche modo, dei debiti con il lavoro di Gardini? 

“Tutti coloro che si occupano di bioeconomia devono riconoscere a Raul Gardini di avere aperto una strada, nonostante gli ostacoli che trovò sul proprio cammino. I suoi meriti sono enormi e la sua eredità maggiore è Novamont, la Nuova Montedison, che si è sviluppata da quel Centro di Ricerche Fertec, così fortemente voluto da Gardini, costituito all’interno del Gruppo di Foro Bonaparte nel 1989. Catia Bastioli, l’a.d. di Novamont, ha senz’altro preso da lui il testimone sia in termini di visione sia in termini di leadership. Non è facile trovare tanta passione e determinazione in una sola persona. Negli ultimi anni comunque sono numerosi gli imprenditori e le imprenditrici che hanno avviato nel campo della bioeconomia circolare nuove società dal Nord al Sud dell’Italia, le quali spiccano per la loro capacità innovativa e di incidere sullo sviluppo locale inteso come rigenerazione del territorio. Il sogno di Gardini di integrare la chimica e l’agricoltura ha trovato sicuramente mani sapienti e occhi non miopi per andare avanti, peraltro in un contesto di crisi climatica, che ritengo renda assolutamente necessaria quella connessione tra economia, società e ambiente che è alla base della bioeconomia.” 

 

Gardini era un imprenditore a volte ruvido, che non rifuggiva allo scontro e non aveva paura di rovesciare equilibri consolidati. La sua biografia è ricca di episodi gustosi. Ce n’è qualcuno che ti ha colpito particolarmente?

“Be’, io posso parlare per l’ambito che ho avuto modo di esplorare per scrivere il libro, relativo al suo contributo rilevante alla nascita della chimica verde in Italia. Devo dire che il ritratto di Raul Gardini che è emerso è quello di un uomo molto determinato, sicuro di sé e sicuramente capace di destrutturare gli equilibri di potere consolidati. Il che - è del tutto evidente - ha fatto di questi stessi centri di potere i suoi maggiori oppositori. Mi piace ricordare come egli descrive il suo rapporto con Franco Reviglio, presidente e a.d. dell’Eni negli anni ’80: 'Forse non comprese fino in fondo il mio pensiero, così come io non compresi il suo. Parlavamo di due cose diverse: lui parlava di pozzi e di dollari e io di fotosintesi e quasi di fiori'. E ancora come Gardini si congeda dall’affare Enimont, con la lettera inviata al Sole 24 Ore e pubblicata il 23 giugno 1993: ‘Continuo inoltre a pensare che l’idea di dare vita a un grande gruppo chimico italiano, unendo le attività di Montedison e quelle di Enichem, fosse un disegno strategico giusto. Il cui fallimento deve essere imputato alla volontà di non mollare la presa sul settore da parte delle forze politiche di allora, oltre che alla mia personale intransigenza, di cui però non mi rammarico’.”