testata logo EDA
In questo numero:

L’inattivismo sul clima? Negazionismo con l’abito elegante di Diego Tavazzi
Linguaggio in transizione di Arianna Campanile
Dagli edifici alle città sostenibili di Paola Fraschini
Immaginare futuri possibili di Arianna Campanile
Speciale Rifiuti Codice ambientale a cura della redazione
Iscriviti
Contatti
Linguaggio in transizione
Intervista a Roberto Cavallo
di Arianna Campanile

In questo articolo parliamo di:
Le parole della transizione ecologica
Un lessico per l'economia circolare

a cura di Roberto Cavallo

Sfoglia le prime pagine
Acquista on-line
Scarica il modulo d'ordine

Neologismi, termini presi in prestito da altre lingue, parole dal passato, il linguaggio specializzato che entra nell’uso comune: sono diversi i modi in cui la lingua registra i periodi di forte cambiamento, di nuove idee e innovazione. Basti pensare a quante parole ed espressioni nuove si sono affermate durante la pandemia. Al contempo, è il linguaggio stesso a influenzare il nostro modo di pensare e agire. Nel libro Le parole della transizione ecologica Roberto Cavallo, da sempre impegnato nella divulgazione dell’educazione ambientale in teatro, in tv e nei suoi eventi in giro per l’Italia, ha riunito i maggiori esperti per fare chiarezza sui cambiamenti nel lessico con l’obiettivo di aiutare un reale passaggio verso la sostenibilità. 

 

La transizione ecologica è un tema centrale nelle politiche di molti stati in Europa e nel mondo. Secondo lei quali sono i fattori per realizzare questo cambiamento? 

“Innanzitutto serve prendere coscienza che è necessaria una fase di transizione: sembra scontato ma da un lato assistiamo a chi ancora cerca di ‘resistere’, allontanando il momento del cambiamento, dall’altro a chi spera che il cambiamento si possa ottenere dall’oggi al domani, schiacciando il tasto di un interruttore. 

La transizione è una fase di un processo e come tale ha una sua dimensione temporale. Per condurla nel modo più efficace occorre che si definiscano al meglio gli obiettivi che ci si attende dopo la transizione, chiarire bene da che punto si parte ed essere consapevoli che alcuni attori della transizione non necessariamente fanno parte del processo stesso.” 

 

In che modo il linguaggio influenza il nostro comportamento nei confronti dell’ambiente?

“Premesso che non sono un linguista, ma solo un curioso osservatore delle dinamiche umane, penso che il linguaggio sia al tempo stesso espressione e condizionante dei comportamenti. Basti pensare agli studi di Gabriele Oettingen sul linguaggio (e comportamento) degli abitanti di Berlino Est e Berlino Ovest dopo la divisione della città. 

Per questo credo che chi ha la fortuna di vivere con maggiore consapevolezza le crisi ambientali e conoscere alcune delle strade da percorrere debba impegnarsi per adeguare il linguaggio alla transizione, così che un nuovo linguaggio accompagni a sua volta modalità nuove di comportamento. Tutto questo richiede anche un’etica della comunicazione, non è sufficiente cambiare il nome a uno stesso comportamento, oggetto o figura professionale per attribuirgli maggiore dignità o sostenibilità.” 

 

Come è cambiato, nel tempo, il linguaggio riferito a rifiuti e materiali?

“Al momento potrei dire che il linguaggio riferito al mondo dei rifiuti si è arricchito in termini numerici di vocaboli e simili, ma non è ancora cambiato. Dai tempi delle scritture dell’Antico Testamento, lo scarto era definito ‘immondo’ che ancora oggi ci portiamo dietro come immondizia o rifiuto e i luoghi dove si accumulano non sono cambiati di molto né nel linguaggio né nella fattezza: la Gheenna non è molto diversa da moltissime discariche presenti oggi nel mondo da Korogocho a Nairobi a Eizbet el-Nakhl al Cairo. Questa situazione fa sì che ancora oggi anche nelle città dell’Occidente più progredito si dica ‘andare a buttare l’immondizia’ anche quando si porta carta o plastica o vetro al contenitore della raccolta differenziata, o ‘vado in discarica’ per descrivere l’impegno di fine settimana nel portare qualche oggetto ingombrante al centro comunale di raccolta. Purtroppo, noi addetti ai lavori non stiamo aiutando la trasformazione del linguaggio, usando spesso acronimi dal significato oscuro ai più, come RSU o RAEE, o verbi e sostantivi da gergo tecnico, che rischiano di creare confusione, come conferire o assimilato.”

 

Nella realizzazione del libro ha coinvolto i maggiori esperti ambientali per analizzare il lessico della transizione, partendo dalla Direttiva 851/2018, parte del Pacchetto economia circolare. Potrebbe fornire degli esempi di lemmi significativi?

“In misura diversa tutti i lemmi sono significativi, mi piace infatti evidenziare come ciascun lemma sia accompagnato da un’iconografia che colloca il lemma stesso in un periodo passato, in transizione o futuro; ci sono così termini che a mio avviso dovranno appartenere al passato e altri che segneranno il futuro dell’economia circolare e alcuni di essi... arrivano dal passato: come riusare!

Ogni termine è, inoltre, accompagnato da un’analisi etimologica che, per chi come me, non ha fatto studi classici, è una vera miniera di riflessione.

I due lemmi che sceglierei per invitare alla lettura sono simbiosi e condividere, due pilasti dell’economia circolare.”

 

Da tanti anni è protagonista di diversi progetti ed eventi mirati a sensibilizzare i cittadini sul rispetto dell’ambiente, tra cui Keep Clean and Run, dove alla corsa si unisce la raccolta dei rifiuti. Oggi nota un cambiamento nella mentalità delle persone? 

“Io penso che ci sia una maggior sensibilità, ciò ovviamente non si traduce immediatamente in comportamenti congruenti, anzi il rischio è esattamente opposto: prendo consapevolezza di una problematica della quale fino a ieri non avevo coscienza e il primo sentimento è di impotenza, di demoralizzazione, a volte addirittura di disperazione.

Torno così alla prima domanda: proprio la fase della transizione va unita certamente a soluzioni tecnologiche, ma soprattutto da un cambio di mentalità. La reazione tipica di coloro che mi accompagnano a correre e iniziano a raccogliere i rifiuti che troviamo è di stupore per quanti rifiuti troviamo. La fase successiva è spesso sottolineata dalla stessa frase ‘non posso più fare a meno di notare quanti rifiuti ci siano per strada, prima non li vedevo’, segue quindi una fase di azione positiva ‘non riesco più a uscire senza prendere un sacchetto e raccogliere qualcosa’ e poi c'è la fase che posso definire negativa ‘ma cosa facciamo non serve a nulla tanto c'è sempre qualcuno che butta’.

Credo che questa evoluzione spieghi bene il rischio della transizione: non illudiamoci di vedere i risultati presto, abbiamo l’enorme responsabilità di agire per le prossime generazioni, non per noi stessi; ed è proprio cosa è successo, al contrario, alle generazioni che ci hanno preceduto e alle attuali: ancora non abbiamo visto tutte le ripercussioni dei comportamenti degli ultimi due secoli...”