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In questo numero:

L’inattivismo sul clima? Negazionismo con l’abito elegante di Diego Tavazzi
Linguaggio in transizione di Arianna Campanile
Dagli edifici alle città sostenibili di Paola Fraschini
Immaginare futuri possibili di Arianna Campanile
Speciale Rifiuti Codice ambientale a cura della redazione
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Dagli edifici alle città sostenibili
Intervista a Giuliano Dall’Ò
di Paola Fraschini

In questo articolo parliamo di:

Green Buildings in Italy

I progetti green certificati in Italia – The green certified projects in Italy

Giuliano Dall’Ò

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In occasione degli eventi preparatori alla Cop 26 svoltisi a Milano tra fine settembre e i primi di ottobre, Gbc Italia ha presentato il manifesto “Città sostenibili per salvare il pianeta”. Il documento sintetizza le azioni, gli strumenti e i principi necessari a raggiungere l’ambizioso obiettivo di consentire a “ogni cittadino in Italia di vivere e fruire di un ambiente costruito totalmente decarbonizzato, circolare, inclusivo, resiliente, sostenibile e salubre” entro il 2050. In coincidenza con questa importante presa di posizione è stato illustrato il contenuto del nuovo volume Green Buildings in Italy. Sulle prospettive della certificazione di qualità ambientale per l’ambiente costruito abbiamo posto alcune domande all’autore, Giuliano Dall’Ò, docente del Politecnico di Milano e former president di Gbc Italia.

 

Le previsioni dicono che nel 2050 il 68% della popolazione vivrà nelle città. Tutto questo mentre la pandemia ha messo brutalmente in evidenza i limiti del vivere in insediamenti ad alta densità abitativa. In prospettiva ha senso scommettere proprio sulle città? La crescente urbanizzazione è davvero l’unica strada che abbiamo di fronte?
“Si, questo ha senso perché vivere nelle città porta a molti vantaggi non solo dal punto di vista economico ma anche da quello ambientale e sociale. Vivere nelle città vuol dire consumare meno territorio e quindi valorizzare una risorsa ambientale importante, ma vuole anche dire limitare gli spostamenti con i mezzi di trasporto privati, rendere attiva una socialità che al di fuori delle città è meno stimolata, vuol dire avere una qualità della vita migliore anche sul piano culturale. Una concentrazione di servizi per gli utenti, si pensi per esempio a quelli sanitari o al settore educativo, consente di razionalizzare meglio le risorse. I processi di inurbamento, poi, sono processi spontanei che avvengono in ogni parte del mondo perché le città, e meglio ancora le metropoli, sono attrattori perché offrono più possibilità di lavoro. 

Mi rendo conto di quanto la questione sia complessa. Se questo comunque è un fenomeno inarrestabile con il quale ci dobbiamo necessariamente confrontare, non a caso il Segretario generale delle Nazioni Unite nel 2012 affermava ‘la nostra lotta per la sostenibilità globale sarà vinta o persa nelle città’, dobbiamo fare ogni sforzo per rendere le città più sostenibili ambientalmente e socialmente (economicamente lo sono già) valorizzando gli aspetti migliori, quelli cui facevo cenno prima, ma anche ovviamente rimuovendo le criticità. Può sembrare un paradosso quello che dico ma le città e le metropoli dovranno necessariamente diventare le aree più sostenibili del nostro pianeta. Non abbiamo altra scelta. Personalmente non ritengo che questa sia una sfida impossibile, anche perché parecchie delle nostre città, a cominciare da Milano, ci stanno già presentando dei cambiamenti evidenti: parti di città che storicamente erano degradate che si sono trasformate diventando i nuovi centri fruibili per tutti i cittadini. La realtà italiana si distingue da altre realtà internazionali. Le nostre città sono mediamente più piccole: solo sei hanno una popolazione superiore ai 500.000 abitanti. Dobbiamo essere in grado di valorizzare non solo economicamente ma anche dal punto di vista sociale e ambientale tutte le nostre città, molte delle quali hanno caratteristiche architettoniche, storiche e paesaggistiche che in molti ci invidiano. Rimanendo in Italia, ragionare su un nuovo modello urbano non vuole quindi dire concentrare la maggior parte della popolazione su sei città ma contrastare con coraggio un modello di urbanizzazione diffusa. Il recupero dei nuclei storici, mi riferisco ai piccoli borghi abbandonati, va nella stessa direzione.”

 

Quando si parla di Green Building si pensa immediatamente alle caratteristiche di singoli edifici o di complessi di edilizia più articolati, ma è possibile certificare interi quartieri e comunità? Non pensa che oltre a rendere vivibili gli spazi interni sia importante intervenire anche su quelli esterni, considerando le persone nelle diverse fasce d'età, alla loro salute e al loro benessere?

“In questi ultimi venti anni abbiamo imparato a progettare e a costruire edifici non solo molto efficienti dal punto di vista energetico, obiettivo che sembrava impossibile che si potesse raggiungere, ma abbiamo imparato a costruire edifici molto più sostenibili in relazione al loro rapporto con la città e il territorio. I protocolli di certificazione energetico-ambientale hanno contribuito molto nel promuovere questo nuovo approccio spostando il paradigma dalla casa sostenibile all’abitare sostenibile. Nella sola città di Milano ci circa 350 edifici certificati secondo gli schemi internazionali Leed, Breeam e WelL. E non stiamo parlando di edifici comuni ma in molti casi di quelle architetture che hanno modificato lo skyline della città. Se i citati protocolli hanno dimostrato che tra edificio e quartiere o città è opportuno che si stabilisca una sinergia importante e irrinunciabile, unica chiave di lettura per poter parlare di sostenibilità nell’accezione completa del termine. I protocolli di certificazione ambientale per gli edifici si sono evoluti generando protocolli di certificazione ambientale per quartieri, comunità o intere città. Il primo protocollo di questa nuova generazione di strumenti è il giapponese Casbee Urban Development applicato a partire dal 2006. Successivamente sono stati applicati altri protocolli per la certificazione della sostenibilità a scala urbana come il britannico Breeam Communities del 2008, lo statunitense Leed Neighborhoods del 2010 ed il più recente Gbc Quartieri promosso dal Green Building Council Italia nel 2015. 

Una caratteristica comune di questi protocolli è che l’attenzione è rivolta proprio ai cittadini, per garantire loro, con un approccio oggettivo basato sulle evidenze dei dati, la salute, il benessere la qualità della vita e soprattutto l’inclusività.

Certificare quartieri o intere città è quindi possibile e proprio in Italia abbiamo alcuni interessanti casi trattati proprio all’interno del volume Green Buildings in Italy. Mi riferisco al protocollo Leed for Cities applicato a Savona, primo caso in Europa, al protocollo Leed for Communities in fase di applicazione insieme al protocollo Well Communities nell’area di Milano Porta Nuova e il protocollo Gbc Quartieri in fase di applicazione nel nuovo quartiere Milano UpTown. La certificazione della sostenibilità dei quartieri è quindi la nuova sfida con la quale ci dobbiamo confrontare per garantire che le nostre città possano diventare davvero sostenibili. Una sfida che è già iniziata e che ci sta dimostrando come la transizione ecologica, anche proprio a questi protocolli e alle associazioni che come Gbc Italia li sostengono, non parta ora ma sia iniziata da tempo.”

 

Esiste il rischio che la certificazione di qualità ambientale si riduca a strumento utilizzabile solo per interventi orientati alla “fascia alta” del mercato immobiliare? È possibile democratizzare la qualità ambientale e la sua certificazione? 

“È una osservazione che molti giustamente fanno: la percezione che la sostenibilità stia diventando una cosa da ricchi. È vero che i primi edifici green certificati che hanno contribuito pesantemente e cambiare il volto di città come Milano, a partire dal famoso Bosco Verticale non sono edifici per tutte le tasche, ma è altrettanto vero che questi edifici hanno reso più bella la città, e a mio parere la bellezza è un beneficio fruibile da tutti. Se parliamo di democratizzazione della qualità ambientale aggiungo che tutti gli spazi di questi nuovi quartieri ‘green’ sono aperti a tutti i cittadini liberamente. Si è trattato quindi di operazioni immobiliari che hanno contribuito notevolmente a migliorare la qualità della vita dei molti cittadini, non necessariamente residenti nei quartieri stessi, ma che questi spazi li frequentano. Mi permetto di aggiungere un’altra riflessione: questi nuovi interventi hanno costituito dei modelli che altri operatori, pubblici e privati, sono portati a imitare.

A questa fase, indubbiamente positiva, ne devono ovviamente seguire delle altre che necessariamente devono riguardare quelle parti di città nelle quali c’è ancora tanto da fare: mi riferisco per esempio alle periferie. Perché anche questi quartieri devono essere belli e la sostenibilità possa essere considerata finalmente una 'nuova normalità' a beneficio di tutti. Personalmente sono molto ottimista e credo che un ambiente bello contribuisca a contenere anche le criticità sociali. La sostenibilità e la transizione ecologica non deve essere vista quindi solo come necessità ma anche come opportunità da sfruttare fino in fondo.”