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La sfida circolare del settore tessile
di Francesco Petrucci

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Il settore tessile occupa la quarta posizione tra quelli che utilizzano più materie prime e acqua dopo alimentare, edilizia abitativa e trasporti, e la quinta posizione per quanto riguarda le emissioni di gas a effetto serra. Si stima inoltre che meno dell’1% di tutti i prodotti tessili nel mondo siano riciclati in nuovi prodotti (Ellen McArthur Foundation, 2017).

Secondo i dati dell’Agenzia europea dell’ambiente, il 60% delle fibre tessili sono sintetiche; tra queste, il poliestere è la fibra più utilizzata, prodotta da processi ad alta intensità di carbonio.

È chiaro come la decarbonizzazione dell’industria del tessile sia tra le sfide più importanti per un’Unione europea che si è data l’obiettivo di abbattere le emissioni di gas a effetto serra del 55% (rispetto ai livelli del 1990) entro il 2050. 

Nel nuovo Piano d’azione per l’economia circolare, lanciato l’11 marzo 2020, la Commissione europea ha annunciato una Strategia globale dell’Unione per i tessili, basata sui contributi dell’industria e di altri portatori di interessi. 

L’obiettivo dell’iniziativa della Commissione è di rivedere la direttiva sulla progettazione ecocompatibile, includendovi i prodotti tessili, e proporre misure legislative supplementari, ove opportuno, per la produzione di prodotti più durevoli, riutilizzabili, riparabili, riciclabili ed efficienti sul piano energetico. L’iniziativa affronterà anche la questione della presenza di sostanze chimiche dannose nei prodotti tessili.

La Strategia della Commissione europea è stata oggetto di una consultazione pubblica tra gli stakeholder che si è chiusa il 9 giugno 2021. Il documento finale sarà adottato dalla Commissione nel primo trimestre del 2022.

 

L’intervento normativo si rivela essenziale per dare all’industria un quadro legislativo chiaro in cui operare.

Al settore tessile però servono certamente anche incentivi economici, che sostengano il recupero e il riciclo, e misure di responsabilità degli operatori della filiera, quali l’adozione di sistemi di responsabilità estesa del produttore (Epr Scheme) per i prodotti tessili. Come peraltro invita a fare la nuova direttiva europea sui rifiuti 2018/851/Ue, che ha modificato le norme sui rifiuti del 2008.

Occorre poi ricordare che entro il 2035 solo il 10% in peso dei rifiuti urbani (tra i quali ci sono i rifiuti tessili) potrà finire in discarica. 

l mondo del tessile inoltre attende una nuova sfida, l'obbligo, previsto dalla direttiva Ue sui rifiuti, di istituire la raccolta differenziata dei rifiuti tessili dal 2025. In Italia la raccolta differenziata dei rifiuti tessili è partita dal 1° gennaio 2022.

 

Secondo il rapporto della Commissione europea “Circular economy perspectives in the Eu Textile sector” (giugno 2021) solo in 13 paesi europei si può constatare una certa mappatura e/o rendicontazione delle quantità e del destino dei tessili post-consumo raccolti separatamente. Di questi tredici solo quattro (Austria, Francia, Fiandre e Italia) riferiscono annualmente sulla raccolta tessile post-consumo. Nei restanti nove, i tessili post-consumo sono stati mappati una o due volte nel corso dell’ultimo decennio, e spesso da organismi non governativi. Inoltre, la portata e la metodologia utilizzata per la mappatura della raccolta del tessile e dei nuovi tessuti immessi sul mercato varia da nazione a nazione rendendo difficile comparare i dati.

In attesa di regolamentazioni a livello Ue, alcuni paesi si sono già mossi. A febbraio 2020 la Francia è stata la prima ad adottare una legge che vieta la distruzione di scorte non alimentari invendute, come vestiti, scarpe, prodotti di bellezza, libri o elettronica di consumo.

Produttori, distributori e negozi che dispongono di tali prodotti invenduti in magazzino sono obbligati a donarli o riciclarli anziché incenerirli o mandarli in discarica. Inoltre, la legge amplia gli incentivi per i produttori a progettare i propri prodotti in modo che siano più facilmente riciclabili.