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Ecoreati oltreconfine
di Antonio Pergolizzi
Mentre l’Italia continua ad affogare nell’eterna emergenza rifiuti
in Campania, l’Unione europea, quando meno te l’aspetti, dà una
forte prova di carattere e fa ciò che il nostro paese non è stato
ancora capace di fare dopo quindici anni di battaglie ambientaliste: introdurre
una riforma legislativa per garantire l’effettiva tutela penale dell’ambiente.
Il 21
maggio scorso il Parlamento e il Consiglio europeo raggiungono l’accordo
e approvano la direttiva che pone l’Ue come la frontiera più avanzata
nella tutela penale dell’ambiente,
attraverso l’adozione di una cornice legislativa comune all’interno
della quale dovranno muoversi i singoli paesi membri dopo il recepimento. Non
ci sono più scuse, adesso, per il nostro governo per colpire efficacemente
i crimini ambientali. Una direttiva, dunque, che deve servire a completare
quel processo di riforma della normativa ambientale italiana, iniziato con
l’approvazione nel 2001 del delitto di organizzazione di traffico illecito
di rifiuti e mai concluso, procedendo una volta per tutte all’inserimento
dei delitti ambientali nel codice penale. Iniziativa che dovrebbe, nel caso
italiano, tenere conto anche delle specificità proprie della criminalità ambientale
attiva su tutto il territorio, a cominciare dal ciclo illegale del cemento,
che si consuma nelle attività estrattive e di costruzione abusive.
Come è facile intuire, i traffici illeciti di rifiuti e sostanze climalteranti
si muovono meglio su scala internazionale: negli ultimissimi anni hanno visto
un incremento davvero significativo, in quantità e qualità. Se
sin dagli anni 80 i flussi illeciti di sostanze tossiche transitano dai paesi
del nord industrializzato al sud del mondo povero, dagli anni 90 in poi i flussi
si muovono anche all’interno dell’Unione europea, e principalmente
in quei paesi membri con legislazioni ambientali molto permissive. Il dumping
ambientale è stato, e continua a essere, una pratica molto seguita da
imprenditori e faccendieri per smaltire illegalmente, e quindi a costi bassi,
rifiuti altamente tossici, sfruttando le carenze legislative e di controllo
dei vari paesi.
Senza soffermarsi sulla vicenda già tristemente nota della nave Probo
Koala (una vera multinazionale galleggiante che ha scaricato 581 tonnellate
di rifiuti tossici in 11 discariche a cielo aperto ad Abidjan, capitale della
Costa D’Avorio, causando ben 16 morti e quasi 20.000 intossicati e che
ha indignato il mondo intero), l’urgenza del fenomeno la provano le tre
maxi operazioni delle forze dell’ordine e della magistratura italiana
che da luglio a marzo 2006 hanno svelato giganteschi traffici illegali che
hanno investito paesi come Cina, India, Siria, Croazia, Austria e alcuni paesi
del Nord Africa.
Conferme sull’affare rifiuti arrivano anche dall’analisi e monitoraggio
fatto dall’Agenzia delle Dogane italiana. I risultati del loro lavoro
sono assai eloquenti. “Nel 2006 sono stati sequestrati dalle dogane italiane
circa 9.000 tonnellate di rifiuti destinati all’esportazione in violazione
alle normative poste a tutela dell’ambiente. Contestualmente sono state
redatte 86 notizie di reato nel 2006 e sono state denunciate alle competenti
Procure della Repubblica più di 70 aziende. Per avere un’idea
immediata dei quantitativi, basti pensare che sono stati sequestrati nel 2006
un totale di 286 container. Dato che un container è lungo
circa 12 metri, i container sequestrati, messi uno accanto all’altro,
potrebbero costituire una barriera lunga più di 3 chilometri e il loro
maleodorante e pericoloso contenuto potrebbe essere rappresentato come una
collina di circa 20.000 metri cubi”. Altri due esempi. A fine giugno
dell’anno passato, sempre l’Agenzia delle Dogane italiana sequestra
28 tonnellate di rifiuti, provenienti dall’Albania e diretti ad Ancona,
gestiti da un network criminale transnazionale. Mentre lo scorso novembre vengono
sequestrati in alcuni porti italiani carichi di medicinali e capi di abbigliamento
contraffatti, autovetture usate, apparecchiature elettroniche da buttare destinate
ai paesi di mezza Europa. Sono queste solo alcune delle vicende di cui il Rapporto Ecomafia di quest'anno rende conto con drammatica puntualità.
Nel 2003 l’istituto di ricerca tedesco Bfu (Betreuungsgesellschaft
für Umweltfragen), in collaborazione con altri
istituti di ricerca, pubblica uno studio approfondito sull’ecomafia e
la criminalità ambientale in Europa. Il rapporto, formato da due voluminosi
dossier, contiene il primo censimento approfondito sui casi di criminalità ambientale
in 15 paesi Ue e in alcuni dei nuovi stati membri; analizza nello
specifico il traffico illecito di rifiuti pericolosi o radioattivi e di Cfc,
i famigerati gas killer dell’ozono (ma anche di specie protette e di
legno tagliato illegalmente) e sui quali è stato accertato il coinvolgimento
delle organizzazioni criminali. Entrando nel dettaglio dello studio, negli
anni che vanno dal 1992 al 2002 nei 15 paesi membri dell’Unione europea
(oggi 27) sono stati censiti 122 casi: 58 hanno riguardato lo smaltimento illecito
di rifiuti pericolosi, 14 il commercio illegale di Cfc e 3 il traffico di rifiuti
radioattivi. Per quanto riguarda lo smaltimento illegale dei rifiuti pericolosi
18 casi riguardano l’Olanda, 17 la Germania e 6 l’Italia, mentre
per quanto concerne il commercio illecito di Cfc, 4 casi riguardano la Gran
Bretagna e la Svezia, mentre 2 sono i casi che hanno coinvolto Spagna, Germania
e Olanda. I 3 casi riguardanti i rifiuti radioattivi sono avvenuti in Italia
(2) e in Olanda (1).
In questo studio sono riportate anche alcune storie che hanno coinvolto numerosi
paesi europei e non. In Polonia, ad esempio, dal 1995 sono stati scoperti quattro
casi di flussi illeciti di rifiuti verso paesi dell’Est Europa e caucasici.
Il più grosso ha preso corpo tra ottobre 1993 a settembre 1994 e ha
riguardato 50.000 tonnellate di rifiuti tossici derivati dalla lavorazione
del rame ed esportarti illegalmente in Kazakistan. In particolare la Polonia è considerata
dalla polizia tedesca come paese di transito per milioni di tonnellate di amianto
esportati dai paesi Ue ai paesi ex sovietici.
Un caso emblematico è accaduto in Belgio nel 1996, coinvolgendo almeno
5 imprese europee. Circa 5.000 tonnellate di materiale plastico e cartaceo
destinato all’esportazione in Gran Bretagna, Hong Kong e Taiwan sono
stati scoperti in diversi porti dei Paesi Bassi, privi delle dovute certificazioni.
Per questa vicenda, nel 2000 tre persone sono state ritenute colpevoli di reati
legati ai movimenti illeciti di rifiuti in Olanda, Belgio e Germania e condannate
alla prigione.
Tra il 1993 e il 1995 sono numerosissimi i casi di traffici illeciti di rifiuti
composti da plastica e legno contaminato tra la Germania e altri paesi europei.
Tra il 1997 e il 1998 la Danimarca importa, in violazione della normativa ambientale,
migliaia di tonnellate di ceneri volatili e scorie altamente tossiche: 16.567
tonnellate di queste sono ritornate alle imprese produttrici in Svezia. Il
business stimato ammonta a circa 3,8 milioni di euro.
Nel 1992 scoppiò uno scandalo fra Germania e Francia, quando migliaia
di tonnellate di rifiuti medici (siringhe, contenitori di sangue ecc.) provenienti
principalmente dalla Germania dell’Est finirono illegalmente in alcune
discariche francesi. Un modo lucroso per bypassare la severa legislazione tedesca
in tema di rifiuti e discariche e fare affari d’oro. Il governo francese
quando scoprì la truffa intensificò i controlli alle sue frontiere,
mentre quello tedesco colpì severamente gli autori dell’illecito.