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Crotone: l'inchiesta Black Mountains di Antonio Pergolizzi
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Crotone: l'inchiesta Black Mountains
di Antonio Pergolizzi

In attesa che si chiudano le indagini sull'inchiesta della Procura di Crotone denominata "Black Mountains", occorre ricordare come questa affondi le sue radici in pratiche di smaltimento di rifiuti industriali dannosissime per l'ambiente e la salute dei cittadini. Non solo a Crotone, ma in Italia e in ogni paese industrializzato. Rifiuti significano costi, e il mercato impone l'abbattimento di questi ultimi. Una tentazione troppo forte per imprenditori senza scrupoli: scaricare il costo dello smaltimento di questi sull'ambiente e sulla salute dei cittadini. Si pensi al dumping ambientale in giro per il mondo, alle navi dei veleni, e agli smaltimenti in mare, in atmosfera e in discariche improvvisate anche in aree limitrofe alle industrie. Si è pensato a produrre, ma nessuno ha pensato - per tanto tempo - a come smaltire le scorie. Responsabilità del mondo industriale, quindi, ma anche della classe politica italiana, la quale per almeno quarant'anni ha consentito l'assoluta deregulation in tema di smaltimento di rifiuti. Ricordiamoci che la prima vera normativa sui rifiuti che pone il nostro paese in linea con le norme europee risale al 1997 con il Decreto Ronchi. La grande svolta è avvenuta solo nel 2002 con l'introduzione del delitto di "attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti" (ex art. 53 bis "Decreto Ronchi", attuale art. 260 Dlgs 152/2006), che in appena sei anni di applicazione ha portato a 115 inchieste, 706 ordinanze di custodia cautelare, 2.319 denunce, 572 aziende coinvolte. L'attuale Ddl Alfano sulle intercettazioni telefoniche, così come è al momento, impedisce l'utilizzo delle intercettazioni nelle inchieste sui traffici illeciti di rifiuti: un regalo vero e proprio all'ecomafia. Le intercettazioni, infatti, si sono rivelate in questi anni fondamentali per scoprire l'intera filiera criminale.
Ma andiamo ai fatti. Già nel 1999 la Procura di Crotone aprì un'indagine su come venivano smaltiti i rifiuti della Pertusola Sud. Il fascicolo rimase fermo dieci anni, fino al momento in cui - questa estate - il Pm Pierpaolo Bruni ha riaperto la questione e messo sul banco degli imputati i dirigenti di quella società. Secondo gli inquirenti e i periti della Procura, la Pertusola avrebbe utilizzato 350.000 tonnellate di scorie cosiddette "cubilot" (nome che deriva dal forno che le produce dal procedimento termico della ferrite di zinco), che le analisi del Ctu della Procura Mauro Manna hanno provato trattarsi di rifiuto speciale pericoloso, al posto del Cic (conglomerato idraulico catalizzato) di cui avevano autorizzazione, come materiale da miscelare insieme ad altri per fare sottofondi stradali, cantieri, parcheggi e così via. In sostanza, e stando all'ipotesi investigativa, si utilizzavano veri e propri rifiuti pericolosi come se fossero normali inerti. Recita l'ordinanza di sequestro preventivo dei 18 siti sotto monitoraggio: "Assodato che tale materiale è un rifiuto pericoloso, e pertanto necessitava di specifiche autorizzazioni di legge per lo smaltimento oltre alle necessarie opere di sicurezza per il suo contenimento, lo stesso non poteva essere utilizzato sia nella forma sia nel metodo come sottofondo per opere edili. Vi è da aggiungere che l'utilizzo improprio e privo delle suddette opere di condizionamento porta le aree utilizzate per lo smaltimento a essere costantemente e potenzialmente pericolose per la salute pubblica in quanto sono continuamente soggette all'azione di dispersione naturale nelle matrici ambientali dei metalli pesanti contenuti e al pericolo costante del rimescolamento dei suddetti metalli pesanti con esposizione degli stessi al contatto diretto con la popolazione a seguito di qualsiasi lavoro di scavo e/o reinterro che venga svolto sui siti in quanto gli stessi non sono segnalati". La stessa Cassazione ha sostenuto che la presenza nei siti sopra indicati di metalli pesanti quali zinco, piombo, indio, germanio, arsenico, mercurio ecc. rappresenta "una imponente contaminazione di siti realizzata dagli indagati mediante l'accumulo sul territorio di ingenti quantitativi di rifiuti speciali altamente pericolosi. Tali condotte hanno insita una elevata portata distruttiva dell'ambiente con conseguenze gravi, complesse ed estese e hanno una alta potenzialità lesiva tanto da provocare un effettivo pericolo per la incolumità fisica di un numero indeterminato di persone (Cass. Pen. Sez. 3a del 29.02.2008 n° 9418)".
I reati contestati sono quelli di discarica abusiva di materiali pericolosi, disastro ambientale, avvelenamento delle acque, turbativa d'asta e frode in pubbliche forniture. Le imprese, infatti, avrebbero vinto gli appalti offrendo ribassi dei prezzi superiori a tutti gli altri concorrenti, proprio grazie al fatto che utilizzavano per i lavori le scorie di cubilot delle quali si approvvigionavano gratuitamente presso la Pertusola. In questo caso, quindi, non siamo di fronte a crimini ambientali posti in essere dalle 'ndrine calabresi, quanto piuttosto da imprenditori, amministratori e professionisti, dai cosiddetti colletti bianchi. Anche se cambia poco o nulla.