In questo numero

Tra gli anticorpi della Terra di Marco Moro
Quel movimento senza nome di Diego Tavazzi
Il mattone in primo piano. Intervista ad Adriano Paolella di Paola Fraschini
VerdeNero Inchieste di Anna Satolli
Il Senato ha deciso: i ghiacciai non si stanno sciogliendo di Ilaria Di Bella
La regola dell'efficienza energetica di Simona Faccioli
Castelli di sabbia di Antonio Pergolizzi

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Quel movimento senza nome
di Diego Tavazzi

Rodrigo Baggio Barreto recupera computer dismessi a New York, Londra e Toronto e li installa nelle favelas brasiliane, dove lui e il suo gruppo di volontari insegnano agli abitanti come utilizzarli. Shi Lihong, fondatrice di Wild China, gira documentari sugli sfollati che hanno dovuto abbandonare le loro case e le loro terre a causa della costruzione delle grandi dighe cinesi. Janine Benyus parla a 1.200 dirigenti dello sviluppo industriale basato sui principi della biologia durante un forum economico nel Queensland, in Australia. Sumita Dasgupta guida studenti, ingegneri, giornalisti, agricoltori e contadini del popolo Adivasis durante un viaggio di dieci giorni nel Gujarat, nell’India occidentale, per studiare le modalità di ripristino degli antichi sistemi di captazione e raccolta delle acque meteoriche, che potrebbero riportare la vita nelle aree colpite da siccità...
Queste persone, che con ogni probabilità non si conoscono fra loro e non si incontreranno mai, fanno parte, insieme a milioni di altre, della “moltitudine” di individui, organizzazioni, istituzioni e associazioni di cui Paul Hawken parla nel suo ultimo attesissimo libro, Moltitudine inarrestabile (in libreria dal 13 maggio). Come ammette lo stesso autore nell’appendice dedicata al database Wiser Earth, in cui per la prima volta viene tentato un censimento dei soggetti che formano questo “movimento di movimenti” (secondo la definizione di Naomi Klein), avere un’idea precisa del loro numero è pressoché impossibile: la maggior parte è piccola, agisce solo su scala locale e con obiettivi temporalmente limitati. Inoltre, di rado compaiono sugli schermi dei media e della politica tradizionali; quando succede vengono di solito stigmatizzati ed etichettati come “nostalgici” e “contrari al progresso”, o addirittura come “violenti col volto mascherato”, senza alcun accenno alle loro richieste e rivendicazioni.
Gli uomini e le donne che fanno parte della “moltitudine inarrestabile” si identificano in maniera sfumata nelle ideologie che hanno dato forma al panorama intellettuale del 20° secolo; agiscono e lavorano ispirati piuttosto dalla consapevolezza che difesa della natura e promozione dell’equità e della giustizia sociale vanno di pari passo. Secondo Hawken, infatti, noi siamo l’ambiente, senza distinzione o separazione tra le due realtà: la vita si evolve sulla Terra da più di tre miliardi e mezzo di anni e noi, in ogni istante della nostra esistenza, siamo collegati all’intera biosfera attraverso l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo e il cibo che mangiamo. In questo senso, ciò che facciamo all’ambiente lo facciamo a noi stessi e ai nostri simili, i danni all’ambiente sono ingiustizie che infliggiamo al presente e al futuro, nostro e di quelli che verranno dopo di noi. Nella metafora utilizzata da Hawken, i movimenti rappresentano la risposta del “sistema immunitario” del pianeta Terra, allo stesso modo in cui il sistema immunitario del nostro corpo entra in azione quando minacce esterne mettono a repentaglio la nostra integrità. A differenza però degli anticorpi, che agiscono contro uno specifico agente patogeno, queste persone sono impegnate su moltissimi fronti, dalla difesa della biodiversità alle azioni per contrastare il riscaldamento globale, dalla tutela dei patrimoni linguistici e culturali che in ogni angolo del mondo sono messi a repentaglio dalle pressioni livellatrici della globalizzazione all’impegno per sistemi finanziari o sanitari più giusti. I settori in cui opera la moltitudine sono quindi svariati, ma i principi a cui si ispira, a volte inconsapevolmente, sono ricorrenti: cerca di operare con cicli chiusi, che non producono scarti perché ogni cosa viene metabolizzata, degradata e riutilizzata per creare nuovi organismi e forme di vita. Si organizza poi in reti, sfrutta le potenzialità offerte dalle tecnologie per scambiarsi informazioni, agire e pensare in maniera sistemica. Più di ogni altra cosa, si impegna a ottimizzare piuttosto che massimizzare, con ciò respingendo la logica dell’accumulo e dello spreco che tanti danni ha causato e causa ai nostri ecosistemi. Si tratta di idee e concetti che circolano da tempo, come si può scoprire leggendo Capitalismo naturale, ormai un classico della sostenibilità che Hawken ha scritto assieme a Amory B. Lovins e L. Hunter Lovins, ma che solo negli ultimi anni si stanno diffondendo. Se è vero che le rivoluzioni partono dal basso quando il numero delle connessioni tra i partecipanti supera una soglia critica, ciò che sta succedendo è proprio questo: una rivoluzione. Verde, ovviamente.