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In questo numero:

A colpi di testata di Marco Moro
La pastorizia tra protezione di tradizioni e biodiversità di Arianna Campanile
I materiali del futuro di Paola Fraschini
La transizione, se non è equa non può essere ecologica di Diego Tavazzi
Da rifiuto organico a risorsa per la decarbonizzazione di Arianna Campanile
La miglior amica (circolare) degli ecosistemi di Diego Tavazzi
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La pastorizia tra protezione di tradizioni e biodiversità
di Arianna Campanile

In questo articolo parliamo di:

Agroecologia circolare

Dal campo alla tavola. Coltivare biodiversità e innovazione

 

a cura di Giorgio ZampettiAngelo Gentili

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Negli ultimi cinquant’anni, il modello agricolo predominante ha puntato alla massimizzazione delle rese, a scapito della qualità e dell’equilibrio ambientale, eliminando tutto ciò che veniva considerato “marginale”. Agroecologia circolare, a cura di Angelo Gentili e Giorgio Zampetti, raccoglie le testimonianze di chi, in Italia, ha tentato di applicare un paradigma diverso alla produzione del cibo.

Le donne pastore propongono un modello rurale arcaico ma al tempo stesso attualissimo, la cui scomparsa avrebbe effetti devastanti sulla tenuta del tessuto economico e sociale della montagna. La regista Anna Kauber racconta i suoi due anni di viaggi e incontri per indagare il nuovo fenomeno della presenza femminile nella pastorizia. Dalla ricerca è nato il film "In questo mondo", miglior documentario italiano al 36° Torino Film Festival.

“Attraverso l’attività del pascolo e l’allevamento brado e semi brado, i pastori curano e mantengono in vita tanta parte dell’eccezionale biodiversità animale e vegetale italiana. La loro presenza, sebbene ormai davvero esigua, contribuisce al ripopolamento delle aree interne svantaggiate, colpite dal fenomeno dell’abbandono, responsabile del drammatico dissesto idrogeologico della nostra penisola.

Nei due anni di viaggio in tutte le regioni italiane ho incontrato più di cento pastore, di età compresa tra i 20 e i 102 anni, restando con ciascuna di loro non meno di due giorni. Ho condiviso il tempo della loro quotidianità, di vita e di lavoro: le lunghe ore di pascolo, l’accudimento nella stalla (quando c’era!), la trasformazione dei prodotti e le incombenze della casa. […]

Mai sfondo o mero contenitore, il paesaggio italiano di montagna è sempre stato presente come vibrante protagonista, con la sua ricchezza di suoni naturali, di vegetazione e fauna selvatica, così vario e bello nelle molteplici differenze di conformazione e di latitudine, cangiante nelle diverse condizioni climatiche e stagionali. Sedimento di vissuti e di narrazioni, le Terre Alte sono altresì portatrici di storia collettiva che ho voluto raccogliere nelle esperienze del pastoralismo del passato, oggi scomparso. Nonostante le condizioni di povertà, di ingiustizia e purtroppo spesso anche di soprusi, nei racconti dei vissuti individuali delle anziane pastore italiane non sono mai mancate leggerezza e autoironia. Sempre in bilico fra l’accettazione e la ribellione a un destino senza speranza, queste nonne e bisnonne del ‘mondo dei vinti’ hanno condotto la loro esistenza con coraggio e fierezza, facendo il possibile e anche l’impossibile per migliorare la propria vita e quella dei loro figli, spesso riuscendoci.

I luoghi della pastorizia sono le aree interne e montane svantaggiate a causa di scelte politiche e di un modello di sviluppo che le ha marginalizzate, erodendone progressivamente le presenze e i saperi. Il rapido processo di rimozione collettiva della cultura agro-silvo-pastorale, soprattutto dal dopoguerra in poi, ha portato conseguenze gravi ed evidenti che ne fanno oggi una questione nazionale. Le nuove presenze delle pastore rappresentano, quindi, un’occasione di rigenerazione dei luoghi, delle comunità e dei saperi in grado di promuovere anche un ripensamento generale che, dal ‘margine’, è capace di coinvolgere e modificare il ‘centro’ rappresentato principalmente dalle pianure e dai litorali inurbati. Appassionate e determinate, giovani e meno giovani, istruite o meno, queste donne scelgono di restare o ritornare (riprendendo il lavoro dei nonni o dei genitori) oppure, semplicemente, lasciano la vita cittadina in cui non si riconoscono più, magari un lavoro e spesso anche un titolo di studio, e ‘vanno in montagna’. Pur con diverse storie personali, tutte sembrano accomunate da uguali esigenze interiori, improcrastinabili: prevalente è il bisogno essenziale di ristabilire il contatto con l’elemento e il ritmo naturali, e di vivere in semplicità e secondo relazioni di comunità differenti. Solo in natura, infatti, si può trovare il proprio spazio di libertà, in cui essere felici e dove potersi relazionare secondo un modello etico di parità, non più predatorio e rapinoso ma fondato sul rispetto dell’ambiente e di tutti gli esseri viventi animali e vegetali che, proprio come noi, lo abitano. Per molte di loro, la via della pastorizia è inoltre un’affermazione, solida e concreta, di autonomia e di responsabilità individuale, attenta all’utilizzo delle risorse nella consapevolezza delle emergenze ambientali e climatiche”.

Tratto dal contributo di Anna Kauber “Le donne pastore: tradizione, coraggio e presidi territoriali” in Agroecologia circolare, a cura di Angelo Gentili e Giorgio Zampetti.