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In questo numero:

A colpi di testata di Marco Moro
La pastorizia tra protezione di tradizioni e biodiversità di Arianna Campanile
I materiali del futuro di Paola Fraschini
La transizione, se non è equa non può essere ecologica di Diego Tavazzi
Da rifiuto organico a risorsa per la decarbonizzazione di Arianna Campanile
La miglior amica (circolare) degli ecosistemi di Diego Tavazzi
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I materiali del futuro
Intervista ad Anna Pellizzari
di Paola Fraschini

In questo articolo parliamo di:

Neomateriali 2.0 nell'economia circolare

a cura di Emilio GenovesiAnna Pellizzari

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Dagli scarti del cocco derivano pannelli in fibra 100% naturali eccezionalmente duri (più dell’ebano) e resistenti al graffio e alla fiamma. Dalla cellulosa riciclata nasce un filato dalla vita infinita. Questo è il potere dell’economia circolare, che riesce a immaginare nuovi usi e filiere per qualsiasi materia un tempo considerata “scarto”.

Ai materiali del futuro è dedicato il volume Neomateriali 2.0 nell’economia circolare (edizione aggiornata e ampliata del primo Neomateriali nell’economia circolare, pubblicato nel 2017), curato da Anna Pellizzari ed Emilio Genovesi – il libro si propone come una vera e propria enciclopedia dei materiali 2.0, una mappa per orientarsi nell’universo dei materiali circolari e dei loro innumerevoli usi e trasformazioni. Parliamone con la curatrice.

 

Cosa sono i neomateriali, che caratteristiche hanno?

“Per ‘neomateriali’ intendiamo materiali che impiegano materie prime o processi improntati all’economia circolare, ovvero impiegano risorse rinnovabili in sostituzione a quelle non rinnovabili. Il libro propone una tassonomia semplificata che divide questi neomateriali in tre categorie: i Bio-based, ovvero quelli da fonte ‘vivente’, che si rinnova cioè con i normali cicli della vita; i Neoclassici, ovvero i materiali da riciclo da filiere consolidate, come vetro, plastica, carta, metallo, eccetera; e infine gli Ex-novo, quelli cioè che ripristinano risorse considerate ‘a fine corsa’ e le reimmettono come materie prime di valore nella catena produttiva. Parliamo di materiali da ceneri da incenerimento, terre di spaiamento strade, reflui cittadini. Fino addirittura alla CO2.”

Perché c’è bisogno di questi nuovi materiali? La materia tradizionale/classica è finita?

“Basti dire che il cosiddetto ‘Earth overshoot day’, ovvero il giorno in cui si calcola che si siano consumate tutte le risorse che il Pianeta è in grado di rinnovare autonomamente, nel 2020 è caduto a luglio (e lo stesso accadrà quest’anno, il 29 luglio 2021, ndr). Significa che da luglio in poi andiamo a erodere risorse (non solo in termini di materiali, ma anche di acqua e aria pulite), a consumare il capitale. Alla lunga il capitale finisce.”


Vuole citare qualche storia esemplare di aziende e imprenditori?

“Anziché citare un singolo caso, che in questo contesto non ha mai molto senso, vorrei segnalare due tipologie di soggetti che possono intervenire in maniera efficace sul miglioramento nella gestione dei materiali. Da un lato abbiamo tante, tantissime startup che ricercano e sviluppano soluzioni nuove, da processi poco impattanti di trasformazione della cellulosa in fibra tessile, all’utilizzo di scarti agricoli per la creazione di materiali durevoli in ottica di carbon sequestration. Ma dall’altro ci sono anche multinazionali che investono moltissimo nelle costruzioni di impianti per la produzione di materiali da riciclo, come la plastica, che non possiamo pensare di abbandonare del tutto perché per alcune applicazioni è ancora la scelta migliore. Oppure nello sviluppo di soluzioni che rendano la carta un buon sostituto delle materie plastiche, laddove possibile. Insomma, c’è moltissimo lavoro da fare, e lavoro di qualità, che può generare opportunità e posti di lavoro. Io sono ottimista.”