In questo numero

Dignità del tascabile di Marco Moro
Tutti i colori dell'energia “verde”. Intervista a Roberto Rizzo di Filippo Franchetto
Salute verde. Intervista a Luca Carra e Margherita Fronte di Anna Satolli
Biodemocrazia di Vandana Shiva
100 domande sul cibo. Intervista a Stefano Carnazzi di Emiliano Angelelli
Green jobs. Intervista a Marco Gisotti di Diego Tavazzi
Pedala che ti passa. Intervista a Silvia Zamboni di Paola Fraschini

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100 domande sul cibo
Intervista a Stefano Carnazzi
di Emiliano Angelelli

Della relazione che esiste tra alimentazione e ambiente parla nel modo più chiaro Vandana Shiva in Campi di battaglia; Stefano Carnazzi, vulcanico direttore della redazione di LifeGate, ha invece la grande capacità di riportare un tema carico di implicazioni a livello globale alla sua dimensione più quotidiana. Quella che affrontiamo quando ci troviamo davanti agli scaffali del supermercato o, ancora più direttamente, quando decidiamo cosa mangiare e come cucinarlo.

Troppo spesso dimentichiamo che il primo modo per mantenersi in salute è proprio l’alimentazione. La mancanza di tempo, lo stress, le pubblicità ingannevoli, tutto ciò interferisce sulla nostra capacità di mangiare sano. Qual è l’obiettivo, in questo senso, di 100 domande sul cibo?
Suscitare curiosità. Variare vorticosamente i menù diminuisce la povertà della dieta. Incuriosirsi dell’etichetta degli ingredienti dei cibi è il preludio a una scelta più oculata. Cominciare a domandarsi perché il prosciutto cotto è rosa invece che grigio come tutte le altri carni cotte, cosa c’è nel dado da brodo o negli energy drink, è un passo verso una salutare consapevolezza. Cominciamo a chiederci se è vero che i cibi light sono davvero light, se la margarina è più leggera, se l’aglio cinese è davvero conveniente, se ci si può fidare dei mille bollini verdi dei prodotti al supermarket, se è un bene che la carne di vitello sia così rosea e tenera! È questa salubre curiosità che può scardinare vizi, preconcetti e abitudini alimentari errate.

Il libro inizia con una serie di domande dedicate alle pandemie (o presunte tali) come la mucca pazza o l’influenza aviaria degli ultimi anni. Che importanza ha il cibo nella prevenzione di tali malattie?
Poca, il singolo piatto di portata. Esistono cibi che rafforzano il sistema immunitario, ma per questo rimando a Le pere di pinocchio, il mio precedente e gustoso libro scritto con Paola Magni, o a tutti quelli di Attilio Speciani. Tanta, tantissima, a livello macroscopico, ciò che si sceglie al supermercato, da dove viene. Il petto di pollo, le uova, le bistecche provenienti dai sovraffollati allevamenti intensivi – la stragrande maggioranza – perpetuano un sistema produttivo orrendo, con animali maltrattati in condizioni indicibili. Li vieterei per legge, gli allevamenti moderni: giganteschi incubatori di germi, di prioni, di adrenalina, di tossine. Non è un caso se tutti i maggiori allarmi alimentari mondiali, dalle uova alla diossina a mucca pazza fino all’aviaria, scaturiscono dagli allevamenti e dalle pratiche zootecniche. Non lo dico io, lo ripetono da anni la Soil Association e Slow Food.

Il libro è pieno di curiosità e di leggende sul cibo. Una che mi ha colpito particolarmente è quella relativa alla colorazione della carne del salmone ottenuta attraverso un procedimento artificiale. Ci puoi segnalare qualche altro pregiudizio sfatato nel libro? Questa dei pigmenti di cui s’imbibiscono i salmoni l’aveva detta tre anni fa perfino Alessandro Di Pietro nel nazionalpopolare “Occhio alla spesa” su Rai Uno. Sono andato a indagare ed è risultato che la commissione veterinaria dell’Unione europea tende a ridurre sempre più le concentrazioni di astaxantina e cantaxantina nell’alimentazione dei pesci allevati come il salmone (che in natura è bianco come gli altri pesci). Mi pare emblematico di quanto siano distorti i nostri gusti. In natura i salmoni nuotano liberi per centinaia di chilometri e son ghiotti di crostacei (che tingono le loro carni); invece noi li alleviamo in vasche circolari, li imbottiamo di ormoni, di farine animali e pigmenti, li risucchiamo con enormi tubi che sembrano aspirapolvere giganti e li tagliamo in due vivi; poi in tante fette grasse e colorate, che se non tingono d’arancione come un pennarello il tovagliolo su cui l’appoggiamo, non ci piacciono, non li compreremmo neanche.
I casi raccolti sono spiazzanti. Prodotti innocenti come l’olio di semi, d’oliva non extravergine, lo zucchero e il riso bianco ne escono malissimo, mentre alcuni di quelli con una cattiva reputazione, il caffè, le patatine fritte, al confronto si rivalutano. Non essendo un medico né uno chef, non do valutazioni dietologiche o giudizi gastronomici. Mi attengo ai fatti, a come sono fatti i cibi che mangiamo. I dadi da brodo sono un perfetto esempio finale. Negli anni Sessanta erano fatti con cose indicibili, oggi si tratta “solo” di glutammato, oli, aromi e un pizzico di verdura disidratata. Basta sapere cos’è il glutammato, da dove viene, di che effetti è imputato e se ha senso spendere 10 euro al chilo per drogarci le papille gustative.

In tempi di Influenza H1N1 vogliamo spiegare perché gli antibiotici fanno sempre meno effetto?
Metà degli antibiotici prodotti al mondo finiscono negli animali d’allevamento, come promotori della crescita o per farli sopravvivere in gabbie e stabulari. Da lì ce li assimiliamo anche noi, specie con la carne. Io sono vegetariano ma la cosa mi fa arrabbiare lo stesso perché residui di antibiotici sono stati trovati in uova e latte. Quest’abuso è collegato, dicono molti ricercatori, allo sviluppo per selezione di patogeni che resistono a spettri sempre più ampi di agenti antibiotici. Il numero di persone che soffrono di infezioni resistenti all’intero spettro di antibiotici conosciuti è decuplicato negli ultimi anni.

Un’altra parte estremamente interessante del libro è quella relativa ai coloranti. Ce ne sono centinaia e bisognerebbe imparare a riconoscerli in etichetta. Solitamente sono rappresentati dalla lettera E seguita da una cifra di tre numeri. Ma non tutti fanno male alla salute…
Be’, sono contrassegnate con i “codici E” anche sostanze innocue. Il giallo E101 è la vitamina B2, il verde E140 è la clorofilla, il rosso E162 si fa con le barbabietole. Ma, per un pugno di “buoni”, secondo me ce n’è dieci volte tanto cattivi e cento volte tanto inutili, superflui, che i produttori potrebbero evitare con qualche accortezza. Tant’è vero che nei prodotti biologici i “codici E” autorizzati sono una ventina, non di più. Per tutti gli altri cibi la diffidenza verso le scrittine microscopiche è giustificata.

Quindi saremmo obbligati a voltare e rivoltare la confezione di ogni merendina prima di comprarla?
C’è da dire che andare a leggere l’etichetta può diventare, mi dicono tutti, divertente. Il giorno dopo una conferenza in cui ne parlavo, a Viterbo, un assessore venne da me mostrandomi indignato l’etichetta di una confezione di sottilette comprate da sua moglie, in cui… non c’era “formaggio” bensì solo proteine del latte. Se ne scoprono delle belle. Le sigle citate nel libro si possono trascrivere in uno specchietto da portare al supermercato… Una volta stavo prendendo appunti con il taccuino sui sughi al pesto, mi hanno fermato, credevano che fossi un ispettore della concorrenza.

Per concludere, come possiamo “armarci” per evitare sostanze dannose al nostro organismo, oltre che truffe e sofisticazioni alimentari?
Il capitolo “100” del libro risponde proprio alla domanda con un decalogo all’uopo. Ho incrociato i comuni denominatori dei grandi problemi odierni dell’alimentazione e stabilito i perimetri dei rischi per la salute e l’ambiente che ne risultano. Per starne alla larga cito qui solo il punto 8: “Più bio. Che sia chi produce o chi l’acquista, chi sceglie l’agricoltura biologica incentiva produzioni sostenibili, fertilità, attenzione e rispetto. Sogna un mondo pulito e sa di potervi contribuire, con un acquisto quotidiano”. Il bio è il nostro scudo.